sabato 6 luglio 2013

Gli invisibili

Oggi è sabato e tutti, turisti e non, bene o male si fanno una passeggiata in centro per fare shopping o, semplicemente, per conversare davanti a un caffè in un bar. Così decido di andare (come d'abitudine, del resto, da 35 anni almeno) "in direzione ostinata e contraria", camminando lungo la Miljačka.
Dalle parti dell'Holiday Inn (sede dei giornalisti esteri durante l'ultima guerra) non posso non notare alcune case completamente sventrate dai colpi di artiglieria pesante. Fra di esse una, di cui resta in piedi solo un muro laterale. A fianco ci sono delle baracche. Mi avvicino. Un bambino mi guarda e scappa dentro casa. La mamma subito dopo esce e mi domanda, molto gentilmente, cosa desidero. Le rispondo, con totale sincerità, che mi piacerebbe scattare delle foto. Immediatamente un'altra donna, giovane, mi chiama e mi dice "vieni, vieni a vedere come viviamo, che sappiano anche gli altri". Mi conduce nella sua casa, se così si può chiamare una baracca in lamiera di tre metri per quattro (forse) composta da un divano-letto a una piazza, una poltrona e una stufa, da cui si entra attraverso una porta-fessura chiusa da una tenda.
Ci vivono in quattro, in quella casa: lei, il figlio, il marito e il cane. Non hanno elettricità, non hanno acqua, e l'odore è talmente forte che mi viene la pelle d'oca sulle braccia. Le chiedo come si chiama. Me lo dice ma, questa volta, non capisco: la donna o, meglio, la ragazza, è senza denti. Il marito sta seduto sul divano-letto, con una coperta addosso. Di là non esce mai, almeno così capisco.
Capisco solo che in quella baracca stanno da cinque anni, che non hanno lavoro, che non hanno nessun tipo di aiuto. Mi domanda da dove vengo. "Trieste", le rispondo, "la conosci"? No, non sa dov'è Trieste, non sa dov'è l'Italia, non sa dov'è la Slovenia.


Dopo aver finito di bere il caffè, ringrazio per l'ospitalità, mi allontano e riprendo a vagare, con l'intenzione di risalire a Gorica. Adesso ho capito perché ieri è andata com'è andata: non sono stata sincera, ho tergiversato e le persone lo hanno capito perfettamente. Non riesco però ad arrivare sulla cima della collina perchè i miei piedi mi conducono dentro al cortile di una casa interamente in legno. Salgo le scale e, da una porta aperta, intravedo una famiglia seduta a fumare intorno a un tavolo. Saluto e chiedo se posso disturbarli per un po'. "Certamente", mi dice la padrona di casa, una donna che, all'apparenza, potrebbe avere tra i 45 e i 50 anni ma che, in realtà, ne ha solo trentasei. Mi fa accomodare sul divano, di fianco all'altro ospite, un amico di famiglia, e mi offre un caffè con ben tre zollette di zucchero. Anche la famiglia Džemaili se la passa piuttosto male: mamma, due figli maschi, due figlie femmine e un nipotino di un anno e nove mesi condividono una cucina-salotto e due camere da letto. Nessuno lavora.
Entrambe le figlie sono giovani: avevano rispettivamente un anno e due quando scoppiò la guerra. Domando loro se sono andate a scuola. "Si, ma solo alle elementari", mi risponde la più grande delle due. "Un libro costa 20 marchi (10 euro circa) e non ce lo possiamo permettere". Mi dicono che non hanno nessuna forma di assistenza e che la mamma è troppo giovane per avere una pensione. Nei pochi attimi di silenzio sento degli strani rumori. "Ci sono i topi in casa?" domando quasi sapendo quale potrebbe essere la risposta. "Sì", mi risponde la ragazza più giovane. "Qui non entrano perché c'è troppo rumore, ma se vuoi ti porto nella stanza dove dorme il bambino, e lì li puoi vedere." Rifiuto perché la mia paura dei topi è qualcosa che va al di là delle mie possibilità fisiche e, soprattutto, mentali. "Di cosa avete soprattutto bisogno?" domando alla mamma. "Di cibo, di vestiti, di medicine. Io soffro di cuore e ho anche problemi di circolazione e le medicine devo pagarmele tutte".
Anche il signor Vukšić, l'amico di famiglia, soffre di problemi di salute: ha il diabete. Lui deve mantenere tre gemelli di due anni con una pensione di invalidità di 320 marchi al mesi (160 euro). Il suo caso, mi mostra su una fotocopia di giornale, è stato riportato anche da Oslobodjenje, ma, palesemente, niente si è mosso nel frattempo.
Quando mi immetto sulla strada principale noto che mi tremano le mani. Non posso far altro che rendermi anch'io invisibile, immergendomi nella corrente della Baščaršija. La mia, però, è una decisione del tutto volontaria.


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1 commento:

  1. A volte la ns consapevolezza non è abbastanza forte per capire quanto siamo fortunati, rispetto a chi non lo è, rispetto a scelte portate avanti dagli altri. Terry

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