sabato 27 luglio 2013

Bendzo e Carolina

Bendzo si chiama così perchè suona il banjo. Lui e sua moglie Carolina fanno i clown, o meglio lo facevano, perché Bendzo ha difficoltà a parlare, a causa di un ictus, e Carolina non sta proprio tanto bene in questo momento: è ricoverata al reparto cure intensive dell'unità psichiatrica del Klinički Centar di Sarajevo, un posto che non avrei mai voluto vedere in vita mia.
Mi sarebbe davvero piaciuto fare delle foto all'interno, per documentare lo stato di totale abbandono e sporcizia in cui vivono i pazienti, ma Bendzo mi ha pregato di non farlo, così ho lasciato perdere. Poi altri mi diranno che il posto è pieno di telecamere: "bene", mi dico, "almeno qualcosa funziona in quello che assomiglia molto ai manicomi vecchio stile che avevamo anche in Italia", molto diverso dall'ospedale psichiatrico di Jagomir, dove sono andata già due volte e dove si respira aria molto diversa e sicuramente molto migliore.
Carolina è completamente persa, vive in un mondo tutto suo, continua ad accendersi sigarette una dietro l'altra e, quando ha finito, va dagli altri pazienti presenti nel parlatorio e gliene offre, anche se gli altri non vogliono. E continua così, per mezz'ora: avanti e indietro, seduta e in piedi, senza pace.
Ilija, un amico di famiglia, mi spiega che è ricoverata lì da tre mesi e che non c'è stato nessun miglioramento. Ma non stento a crederlo, con tutta sincerità. "Se non migliora rischia di essere dichiarata cronica e di essere spedita nell'unità dei cronici", cioè, per farla breve, in un manicomio vero e proprio. In tal caso, continua Ilija, le toglierebbero anche la pensione e per Bendzo i problemi diventerebero enormi, visto che entrambi hanno la pensione minima.
"Come mai" chiedo a Ilija, "non l'hanno ricoverata a Jagomir?" "Perché dipende dal giorno della settimana in cui ti prende la crisi: se hai fortuna vai a Jagomir, in caso contrario a Koševo".
Ho difficoltà a capire Bendzo. L'ictus lo ha colpito, oltre che a una mano e a un piede, anche nella parola. Quindi di lui non posso dire molto se non che, quando siamo usciti dall'unità psichiatrica, era davvero disperato. Così il giorno dopo, per tirarlo su di morale, ho organizzato una cena, a base di pasta al pomodoro con parmigiano. Si è mangiato ben due porzioni, tanto gli piaceva. E ha apprezzato anche il dolce, preparato dalla mia amica Dubravka, che era lì con suo marito e il figlio.
Fra tutte le storie che mi hanno incontrata qui, credo che questa sia in assoluto la più triste e per questo non riesco ad aggiungere altro.


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