lunedì 15 luglio 2013

Waste pickers a Sarajevo

A Sarajevo non ci sono i contenitori per il vetro, la carta, la plastica, ma la raccolta differenziata si fa anche qui. Sì, però al contrario. B., 38 anni, di Priština, e la moglie D., nata a Kosovska Mitrovica, di 35 anni, profughi dal Kosovo, si guadagnano da vivere frugando fra i rifiuti, alla ricerca di plastica, vetro, ferraglia, vestiti usati, per poterli poi rivendere da qualche parte.
Li incontro a Koševo alle nove e mezza di sera, mentre sono fermi sul marciapiede, con il carrello del supermercato, pieno di cianfrusaglie: un'antenna della tv rotta, jeans, un phon, un ammasso che sembra tanto polistirolo. B. parla un po' d'italiano perchè ha girato l'Italia in lungo e in largo ma, alla fine, è stato cacciato con regolare foglio di via. Vivono in una casa di L. K., con quattro figli e due cani. Orgogliosamente B. mi mostra la foto del figlio maschio sul cellulare.
Il giorno successivo vado a trovarli. Ho appuntamento con loro alle 3 circa. Nell'attesa approfitto per fare due scatti alla casa chiusa con il lucchetto in cui, mi dicono i vicini, vivono.
Dopo un'ora e mezza di attesa non vedo arrivare nessuno. "Probabilmente", mi dico, "saranno in giro a frugare fra i rifiuti, come fanno tutti i santi giorni. Ma di lì a poco mi vengono incontro tre bambini e mi fanno entrare in casa: i genitori li avevano avvisati che sarei venuta.
Cammino sui grossi tappeti di lana nella cucina e, di tanto in tanto, sento il piede che affonda con la sensazione quasi di sprofondare. Nella casa non c'è riscaldamento e nemmeno acqua. "Per fortuna", mi dice D., la mamma, "una vicina ci permette di riempire le taniche che poi utilizziamo per lavarci, per cucinare, per bere, per lavare i piatti." Le poche volte che cucinano usano uno spaghert fuori casa. Normalmente comprano qualcosa di pronto da mangiare, perché costa meno. Mamma e papà dormono in cucina, mentre i bambini in salotto.
B. e D. non sanno né leggere né scrivere: non sono mai andati a scuola. Come dicevo prima si guadagnano da vivere raccattando cose nei bottini della spazzatura. "Il ferro", dice B, "mi viene pagato 1 marco per 10 chilogrammi." Una volta a settimana un gruppo di persone arriva a casa loro per acquistare il ferro. Non ricevono nessun sussidio da parte dello stato, se non 50 marchi (25 euro) al mese per la bambina più piccola. D. e i figli godono dello status di rifugiati politici mentre B. non ce l'ha, per motivi che non posso spiegare. La figlia più grande ha sedici anni ed è già sposata, ma vive con i genitori, non con il marito. Gli altri bambini vanno tutti a scuola, eccetto la più piccola, che ha quattro anni e che mi mostra la foto di classe della sorella. Quando i genitori sono al lavoro i bambini se ne stanno soli a casa, in compagnia dei cani: Simba e Kimba.

Si è ormai fatto tardi e decido di andare via, con il proposito di ritornare il giorno successivo...

Torno a casa di B. e D. intorno alle 10 di mattina. La casa non è chiusa con il lucchetto, segno che - mi dice una loro amica - sono a casa ma stanno ancora dormendo. La donna bussa ripetutamente finché D., ancora assonnata, apre la porta. Anche le bambine sono in piedi mentre il papà e il fratello dormono in camera da letto.
Mentre la mamma prepara il caffè converso un po' con l'amica di famiglia, Almedina, e vengo a sapere che anche lei, insieme con il marito, si guadagnano da vivere frugando fra le immondizie. Non vivono a Sarajevo, bensì a Iljaš, in una casetta in affitto in aperta campagna. Ogni giorno si fanno 30, 40 chilometri per andare a cercare fra i rifiuti. Ma questa è un'altra storia.
Oggi è il giorno in cui un gruppetto in furgone viene a comprare il materiale raccolto faticosamente da B. e D. E proprio questo gruppetto, appena mi vede, inizia a fare domande direttamente a me, con un fare molto poco rassicurante. Su invito di D. mi astengo dal fare fotografie (a parte un paio rubate) ed entro in casa con lei. Avrei voluto continuare a seguire la famiglia di B. e D., ma sempre a causa di questo gruppetto non è stato possibile. Pare abbia fatto pressioni perché me ne stessi alla larga. Le ragioni le posso solo immaginare.

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2 commenti:

  1. interessante davvero questa angolazione e testimonianza Lorena

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  2. certo che non intendiamo questo quando diciamo che il rifiuto è una risorsa......

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