L'autobus è partito ieri da Koper alle 18.30, con 20 minuti di ritardo, non si sa perché. Del resto, è altrettanto oscura la ragione che ha spinto l'autista e il controllore dell'autobus a far scendere tutti noi, diretti a Sarajevo, nel bel mezzo del nulla, nei pressi di Zagabria, e farci salire su un altro autobus proveniente da Vienna e con destinazione finale Mostar. Il risultato di questa strana prodezza è stato arrivare nella capitale della BiH con tre ore di anticipo, aspettare tre ore nel freddo polare che la mia amica venisse a prendermi e una spossatezza degna di uno scalatore che ha appena raggiunto quota 8000 metri.
A parte questo e a parte la decisione della polizia slovena e croata di frontiera di far scendere tutti i passeggeri e controllarne i documenti uno per uno (eccezion fatta per noi "europei", lasciati passare liberamente come se fossimo di una razza superiore), non mi posso lamentare del viaggio. Ho conosciuto delle belle persone, come Dzemal, di Tuzla, che faceva il muratore e poi è stato costretto a fare il soldato in una guerra di cui non parla, ma di cui mi mostra due immagini, e che ora lavora a Luka Koper come autista. La moglie e i figli di Dzemal stanno a Tuzla, come tutto il resto della sua famiglia. Lui lavora 10 ore al giorno (4,5 euro all'ora) per poter riuscire ad andare a trovarli una volta al mese. Quando è a Koper si avvale anche lui della tecnologia, di facebook, di skype. Non parla sloveno Dzemal, come io non parlo croato, però riusciamo a capirci, almeno nelle cose essenziali.
Parentesi di lingua croata per gli amici triestini: "ovo" non significa "uovo" ma questo (neutro singolare). Per gli amici sloveni, invece, e prendendo spunto dai consigli dell'amica Zorica: "rumen" non significa "giallo" ma rosso. Per dire giallo bisogna dire, invece, žut. Infine, per gli amici italiani, la parola kuča non significa cuccia, come quella del cane, ma casa.
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Grazie Erika del tuo racconto vissuto. A volte uscire dalle ns dinamiche giornaliere, di quelli che hanno molto, ci fa apprezzare di piu' cio' che per merito o per fortuna la vita ci ha riconosciuto. Penso ai figli e alla moglie di Dzemal una forte assenza che nega l'affetto fisico che si deve ai figli, ma che per condizioni sfortunate non possono riempire. Terry
RispondiEliminaParlando ieri sera con la mia amica Sanja e con suo marito è emerso che, dai tempi della guerra, circa 1 milione di bosniaci sono andati all'estero e non sono più tornati. La popolazione della Bosnia, attualmente, è di circa 4 milioni di abitanti. Ciò significa che il 20% della popolazione se n'è andata. Questo dato e la storia di Dzemal dovrebbero far riflettere tutti quelli che pensano che l'immigrato sia una categoria astratta, degna magari di qualche insulto.
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