lunedì 8 luglio 2013

Il mercato di Markale

Il mercato di Markale Sarajevo"Chi ha fatto cosa e perché", questa è la domanda che mi sono posta in questi giorni. Sono venuta qui con la mia "verità", memore dei servizi televisivi e degli articoli di giornale che, tra il '92 e il '96 hanno documentato la guerra in Bosnia, oltre che dei libri che sono stati scritti su questa tragica vicenda. Ma adesso, parlando con le persone, mi rendo conto che di "verità" (o di miti?) ce ne sono molte, esattamente tante quante sono le persone che incontro. Il dato di fatto è che ad assediare Sarajevo fu l'esercito serbo-bosniaco. Ma, per quanto riguarda il resto, sembra tutto una supposizione.
Il mercato di Markale SarajevoDico "sembra" perché i racconti non coincidono. Persino "i colpi di mortaio sparati sul mercato di Markale nel '94 e nel '95", mi dice un amico, "sono oggetto di controversia." "Del resto", continua, "quando vivi in stato di guerra, l'unica tua preoccupazione è quella di difenderti, di proteggere la tua persona, non certo quella di stabilire chi ha sparato e da dove". Non gli posso dare torto. Tuttavia, per una questione di puro buon senso, mi viene da escludere in maniera definitiva e categorica la teoria dell' "autolesionismo musulmano" che ha iniziato a circolare fin da subito. Non posso pensare, con tutta sincerità, che si sia trattato di una sorta di "omicidio/suicidio collettivo" finalizzato a orientare l'opinione pubblica, e la politica delle superpowers soprattutto, in una certa direzione. Un'ipotesi del genere è talmente inverosimile che istintivamente penso ai suoi ideatori come a dei carnefici codardi che tentano di scaricare le proprie responsabilità sulle vittime.
Riguardo alla strage di Markale e alle costruzioni "mitologiche" che sono state fatte, rimando all'articolo di Azra Nuhefendić, Al mercato di Markale. Per quanto mi riguarda, sarò passata davanti al mercato almeno una decina di volte e, altrettante, sono scappata via, vigliaccamente. Anche oggi pomerigggio, nonostante ci sia poca gente, non riesco a dare prova di molto coraggio, mentre passo tra le bancarelle. Mi manca il respiro e me ne vado, di nuovo.

Postilla
Approfitto, su spinta di un'amica, per fare alcune precisazioni. Quando utilizzo il termine "musulmano" mi riferisco a quella parte della popolazione discendente da coloro i quali, al momento della conquista della Bosnia da parte dei turchi (1463), decisero di abbracciare la fede islamica. Le ragioni di tale conversione furono diverse. Oltre a quelle di carattere religioso, a memoria mi vengono in mente i seguenti motivi: conservare i diritti acquisiti (ad esempio quello di mantenere i propri terreni ed i titoli nobiliari, o quello di portare le armi); evitare il prelevamento forzato dei figli (devscirme), prassi di cui parla anche Ivo Andrić ne "Il ponte sulla Drina". I musulmani di Bosnia furono dichiarati una delle nazioni costitutive della Repubblica socialista federativa di Jugoslavija, nel 1971, sulla base della decisione del comitato centrale del partito comunista della Bosnia Erzegovina del 1968. Per tutta la durata della "Federativna" non era per niente comune vedere le donne indossare il velo, nè era comune l'affollamento delle moschee al venerdì. Adesso le cose sono cambiate e non passano inosservate, per le strade di Sarajevo, le donne che indossano il velo e altre (poche, almeno per il momento), vestite di nero da capo a piedi, che - così mi viene detto - hanno sposato uomini venuti in Bosnia dall'Arabia saudita e dintorni. Oppure, mi dice un'altra persona, le donne vestite di nero vengono dal Pakistan e da altri paesi per insegnare alle donne musulmane di qui. Cosa, non lo so.
Mentre faccio una pausa nel parco centrale vedo due ragazze con il velo. Mi dicono che vengono da un paese straniero. Domando se sono qui in viaggio o per studio. "No", mi rispondono in inglese "viviamo qui". Preferisco non approfondire.
"E' una cosa davvero strana per noi", mi dice un'amica. "Non eravamo abituati a tutto questo". Il mio interesse si trasforma in stupore quando entro in un grande centro commerciale e scopro che, fra gli scaffali delle bibite, troneggiano centinaia di bottiglie di quella nota bevanda che in Toscana si beve "hon la hannuccia horta", ma non c'è traccia di alcoolici da nessuna parte. Sempre la mia amica mi dice che il detto centro commerciale appartiene a una ditta indonesiana, il che mi chiarisce l'assenza totale di "pivo" nel supermercato. Infine, mi racconta anche che, durante il Ramadan, ci sono colleghi e colleghe, ligi ai dettami del rito di purificazione, che non mangiano e non bevono dall'alba al tramonto e che, nonostante questo, vanno al lavoro tutti i giorni. Anche i bambini sono sottoposti allo stesso rito, a prescindere se il Ramadan cade durante il periodo scolastico. Ribadisco e sottolineo: prima della guerra tutto questo non esisteva. Perché, invece, adesso esiste? Non sono in grado di esprimere alcun giudizio in materia.


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