Si è conclusa ieri in tarda mattinata la tre giorni di "Impazzire si può", convegno che ha avuto luogo presso il Parco culturale (ex o.p.p.) di San Giovanni a Trieste e ha visto protagoniste associazioni e persone con "esperienza del disagio mentale", nello specifico gli utenti stessi, i familiari, gli operatori del settore (educatori, volontari, assistenti sociali, infermieri, psicologi, psichiatri, etc…).
Promosso dal Dipartimento di Salute Mentale – ASS1 Trieste, con il patrocinio della Provincia di Trieste, l'evento è stato organizzato dal Gruppo di Protagonismo “Articolo 32”, dal Laboratorio Hubility e dalle associazioni e cooperative sociali triestine: “NadirPro”, “Oltre Quella Sedia”, “Club Zyp”, Polisportiva “Fuoric’entro”, “Franco Basaglia”, “Luna e l’altra”, “Arià”, “AFASOP/Noiinsieme” (aderente all’UNASaM), Coop. Lavoratori Uniti Franco Basaglia, Posto delle Fragole, La Collina, Cassiopea, Confini, Lister, Agricola Monte San Pantaleone, Duemilauno Agenzia Sociale, La Melagrana, Consorzio Interland, in collaborazione con il Forum nazionale Salute Mentale.
Tre (più una conclusiva) le agorà che hanno animato la manifestazione: Supporto tra pari: "SEPE"?, "ESP"? "ES.CO."?, "UFE"?, "Facilitatori sociali"?; Immaginare per rifare: i movimenti alternativi di lavoro e considerazione del denaro; Istituzioni e protagonismo: come mantenere il campo aperto della contraddizione.
Suddivise in gruppi di lavoro, le agorà hanno permesso al nutrito numero di partecipanti di affrontare e di confrontarsi su numerose tematiche. Per motivi di sintesi mi permetto di citarne, in modo disordinato, solo alcune: il peer support (cioè il supporto fra pari, fra utente ed utente), l'esperienza francese (dove è stato istituito un corso professionale che consente di operare nel settore con una specifica qualifica), la sperimentazione in corso a Trento, dove l'utente, previa formazione, svolge un'attività retribuita, affiancato da un operatore; il lavoro, la cooperazione sociale e le difficoltà in cui versa a causa della crisi economica, la crescita della domanda, la mancanza di fondi, la situazione dei lavoratori impiegati; la spinosa questione della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, la legge 81/2014; il tema della "recovery" (guarigione) nel senso della ricostruzione di una vita degna di questo nome, nonostante la "malattia", il ruolo dei servizi di salute mentale e l'inclusione lavorativa e sociale, indispensabili in questo contesto.
Promosso dal Dipartimento di Salute Mentale – ASS1 Trieste, con il patrocinio della Provincia di Trieste, l'evento è stato organizzato dal Gruppo di Protagonismo “Articolo 32”, dal Laboratorio Hubility e dalle associazioni e cooperative sociali triestine: “NadirPro”, “Oltre Quella Sedia”, “Club Zyp”, Polisportiva “Fuoric’entro”, “Franco Basaglia”, “Luna e l’altra”, “Arià”, “AFASOP/Noiinsieme” (aderente all’UNASaM), Coop. Lavoratori Uniti Franco Basaglia, Posto delle Fragole, La Collina, Cassiopea, Confini, Lister, Agricola Monte San Pantaleone, Duemilauno Agenzia Sociale, La Melagrana, Consorzio Interland, in collaborazione con il Forum nazionale Salute Mentale.
Tre (più una conclusiva) le agorà che hanno animato la manifestazione: Supporto tra pari: "SEPE"?, "ESP"? "ES.CO."?, "UFE"?, "Facilitatori sociali"?; Immaginare per rifare: i movimenti alternativi di lavoro e considerazione del denaro; Istituzioni e protagonismo: come mantenere il campo aperto della contraddizione.
Suddivise in gruppi di lavoro, le agorà hanno permesso al nutrito numero di partecipanti di affrontare e di confrontarsi su numerose tematiche. Per motivi di sintesi mi permetto di citarne, in modo disordinato, solo alcune: il peer support (cioè il supporto fra pari, fra utente ed utente), l'esperienza francese (dove è stato istituito un corso professionale che consente di operare nel settore con una specifica qualifica), la sperimentazione in corso a Trento, dove l'utente, previa formazione, svolge un'attività retribuita, affiancato da un operatore; il lavoro, la cooperazione sociale e le difficoltà in cui versa a causa della crisi economica, la crescita della domanda, la mancanza di fondi, la situazione dei lavoratori impiegati; la spinosa questione della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, la legge 81/2014; il tema della "recovery" (guarigione) nel senso della ricostruzione di una vita degna di questo nome, nonostante la "malattia", il ruolo dei servizi di salute mentale e l'inclusione lavorativa e sociale, indispensabili in questo contesto.
Nel corso del convegno, e come parte integrante delle tre agorà, sono stati organizzati diversi laboratori teatrali, a cura di Fabrizio Maurel, l'associazione Stammh Theater, il Club Zyp, il centro diurno "La voce della luna" di Roma, il centro diurno di Aurisina. Inoltre, sempre in ambito teatrale e nel corso dell'agorà "Istituzioni e protagonismo" si è esibito il gruppo teatrale triestino "Oltre quella sedia" con un'ottima performance, sintetica e coinvolgente, sul tema della chiusura degli OPG.
In contemporanea si è svolto il "Raduno nazionale delle radio per la salute mentale", che ha visto la partecipazione di una trentina di redattori, deejay e speaker, impegnati in dirette radio e interviste, in rappresentanza di Radio Fragola, Radio Fuori Onda, Radio Liberamente, Radio Ohm, Radio Senza Muri, Radio Tana Libera, Radio Stella 180, Radio Ueb.
Il convegno è stato indiscutibilmente un'occasione di incontro, di confronto, di dibattito e discussione per i molti che vi hanno preso parte. E' stato però un evento confinato agli "addetti ai lavori" con scarsissima (oserei dire nessuna) partecipazione da parte della collettività. Eppure, le occasioni per quest'ultima non sono mancate, come ad esempio la performance STOP OPG di "Oltre quella sedia", le porte aperte del programma radiofonico "Escuchame", la presentazione della collana 180 da parte di Peppe Dell'Acqua, con lettura di una serie di brani tratti dai volumi finora pubblicati; la presentazione del libro "Restituire la soggettività - Lezioni sul pensiero di Franco Basaglia", di Pier Aldo Rovatti, con l'intervento dell'autore stesso.
Quali dunque le ragioni della mancata partecipazione della cosiddetta "società civile"? Il convegno è pensato solo per addetti ai lavori? Non è stato sufficientemente pubblicizzato? Le persone che godono di "buona salute mentale" non hanno ben chiaro il concetto che "impazzire si può" davvero e, per tale ragione, non sono interessate all'argomento?
Pongo questi interrogativi non certo per la necessità di esaurire le scorte di inchiostro virtuale, né tantomeno per fomentare polemiche sterili, ma per la semplice ragione che in questi giorni si è parlato molto di inclusione e integrazione sociale e mi chiedo come tale integrazione possa di fatto realizzarsi senza la partecipazione della società civile, cioè il contesto da cui le persone che soffrono di "disagio mentale" provengono e in cui dovrebbero essere re-inserite. Ritengo altresì che una maggiore sensibilizzazione alle problematiche della salute mentale non sia solo opportuna e doverosa, ma necessaria, considerato l'aumento della domanda (come evidenziato nel corso del convegno) e la costante e progressiva riduzione, a partire dagli anni '90, delle risorse pubbliche destinate all'assistenza, con la conseguente e inevitabile riduzione dei servizi e della qualità degli stessi.
Detto questo (da non addetta ai lavori e da pessima ricamatrice di parole ho parlato fin troppo) presento una serie di immagini realizzate nel corso del convegno.
In contemporanea si è svolto il "Raduno nazionale delle radio per la salute mentale", che ha visto la partecipazione di una trentina di redattori, deejay e speaker, impegnati in dirette radio e interviste, in rappresentanza di Radio Fragola, Radio Fuori Onda, Radio Liberamente, Radio Ohm, Radio Senza Muri, Radio Tana Libera, Radio Stella 180, Radio Ueb.
Il convegno è stato indiscutibilmente un'occasione di incontro, di confronto, di dibattito e discussione per i molti che vi hanno preso parte. E' stato però un evento confinato agli "addetti ai lavori" con scarsissima (oserei dire nessuna) partecipazione da parte della collettività. Eppure, le occasioni per quest'ultima non sono mancate, come ad esempio la performance STOP OPG di "Oltre quella sedia", le porte aperte del programma radiofonico "Escuchame", la presentazione della collana 180 da parte di Peppe Dell'Acqua, con lettura di una serie di brani tratti dai volumi finora pubblicati; la presentazione del libro "Restituire la soggettività - Lezioni sul pensiero di Franco Basaglia", di Pier Aldo Rovatti, con l'intervento dell'autore stesso.
Quali dunque le ragioni della mancata partecipazione della cosiddetta "società civile"? Il convegno è pensato solo per addetti ai lavori? Non è stato sufficientemente pubblicizzato? Le persone che godono di "buona salute mentale" non hanno ben chiaro il concetto che "impazzire si può" davvero e, per tale ragione, non sono interessate all'argomento?
Pongo questi interrogativi non certo per la necessità di esaurire le scorte di inchiostro virtuale, né tantomeno per fomentare polemiche sterili, ma per la semplice ragione che in questi giorni si è parlato molto di inclusione e integrazione sociale e mi chiedo come tale integrazione possa di fatto realizzarsi senza la partecipazione della società civile, cioè il contesto da cui le persone che soffrono di "disagio mentale" provengono e in cui dovrebbero essere re-inserite. Ritengo altresì che una maggiore sensibilizzazione alle problematiche della salute mentale non sia solo opportuna e doverosa, ma necessaria, considerato l'aumento della domanda (come evidenziato nel corso del convegno) e la costante e progressiva riduzione, a partire dagli anni '90, delle risorse pubbliche destinate all'assistenza, con la conseguente e inevitabile riduzione dei servizi e della qualità degli stessi.
Detto questo (da non addetta ai lavori e da pessima ricamatrice di parole ho parlato fin troppo) presento una serie di immagini realizzate nel corso del convegno.
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In relazione al convegno "Impazzire si può" ed all'assenza della società civile allo stesso, voglio sottolineare che i telegiornali e giornali locali non ne hanno parlato, ed inoltre che gli educatori delle cooperative, di certo quelli che si occupano degli utenti nelle residenze, non ne sapevano niente. Qualche voce è anche arrivata, così, al volo, che ha incontrato tra l'altro il disinteresse totale a causa del disincanto degli operatori del settore. Se i giornali e telegiornali non ne hanno parlato significa che non c'è stata un comunicato stampa da parte dell'organizzazione del convegno, se il grosso degli educatori non ne sapeva niente significa che non è stato fatto girare un opuscolo relativo, una comunicazione ufficiale, casetta per casetta, cooperativa per cooperativa, centro per centro. Inoltre, in Italia ci sono tante realtà operanti nella salute mentale che non ne sapevano niente del convegno, l'altra settimana ero a Firenze ed una psicologa educatrice del settore mi ha confermato di non aver mai sentito parlare di questo convegno. I numeri parlano chiaro: 200-300 persone per un convegno nazionale sono niente, soprattutto per un convegno organizzato dal centro della rivoluzione basagliana, dalla Psichiatria più famosa in Italia, vista anche all'estero come faro del cambiamento. Come tutto in Italia, anche in questo settore si parla e si mette in scena molto più di quanto si fa nella sostanza, ci si imbelletta del profumo dei concetti e principi, ci si fa "il look", e così poi le cose possono continuare uguali. Se ci fosse un reale interesse a cambiare le cose per ridurre gli effetti del disagio mentale, per arginare l'inizio di un disagio, per condurre il sofferente mentale ad una vita di nuovo sana e naturale, si sarebbero affrontate per prime ben altre cose: male gestioni anche economiche, mobbing tra operatori, trattamenti poco ortodossi e rispettosi degli utenti, assistenze svogliate e non vitali ecc ecc, chi è dentro nel settore sa bene quante cose vengono nascoste, quanti metodi sono discutibili, e quanto c'è che fa storcere le budella. Inoltre, tutti questi laboratori artistici oggi tanto valutati danno agli utenti gioia e autostima temporanee e circoscritte, dentro i centri di salute mentale o i club, frequentati solo da alcuni utenti e da nessuno della società civile. Al di fuori del csm o club tutto rimane uguale per l'utente e la sua vita, ed anzi il csm e centri vari diventano l'unico ambiente in cui sentirsi vivi. Un ghetto divertente. E questo lo pensano in molti operatori della salute mentale italiana. Io non sono un'operatrice del settore ma conosco molti operatori della salute mentale, e sento da anni molte cose che fanno rabbrividire, che andrebbero denunciate, e assolutamente affrontate e spazzate dai vertici della salute mentale; sono stata una malata mentale pure io vent'anni fa e ne sono uscita con la psicanalisi privatamente, dopo aver avuto una esperienza fallimentare e allucinante con un csm locale; ho lavorato nel sociale e fatto volontariato sia in cooperative della regione e di trieste, sia in associazioni locali, fino a quando ne sono uscita, perchè è più sopportabile e meno rivoltante il malaffare e la malagestione in settori che nulla hanno a che fare con la cura del cuore e mente delle persone. Sabrina Gerin
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