"La casa della Milena" si trova a Velino Selo (Bijeljina), nella cosiddetta "zona rossa", dove molte strade non sono transitabili se non a bordo di un fuoristrada o persino, in alcuni casi, di una barca.
Situato nel punto di confluenza tra Drina e Sava, il villaggio è stato letteralmente sommerso dall'acqua e il fetore che vi si respira (un misto tra marcio, fogna, carcasse di animali in decomposizione) fa venire il voltastomaco. Ma più dell'odore, quello che colpisce sono i volti delle persone, vittime di questa alluvione che ha flagellato Bosnia Erzegovina, Serbia e parte della Croazia.
"Abbiamo perso tutto. Solo una vacca è rimasta viva", mi dice un'anziana contadina mostrandomi i segni della devastazione, fuori e dentro la casa dove restano oramai, inconfondibili, solo le impronte sui muri della Drina, la responsabile del disastro in questa zona.
E proprio a Velino Selo, oltre che in altre zone del circondario della città, operano dal 29 maggio i ventitré volontari e funzionari della protezione civile del Friuli Venezia Giulia insieme con i sei del Molise, gli undici della Provincia autonoma di Trento (arrivati il 31 maggio), i due del Dipartimento di Roma, i quattro dell'Associazione nazionale carabinieri.
Gli operatori, attivi dalle quattordici alle sedici ore al giorno e con l'ausilio di attrezzature per il pompaggio acque (pompe, idrovore, tubazioni, etc…) sono impegnati, come spiega Cesare Nonino, della Protezione civile FVG, a "dare il primo soccorso alla popolazione”, che concretamente consiste nello svuotare dall'acqua abitazioni, cantine, terreni.
L'operazione è impegnativa ed è resa complicata dalla presenza di acqua di falda, oltre a quella di fiume, dall'assenza di fognature, dalla conformazione pianeggiante del territorio, oltre che da una scarsa partecipazione da parte dell'autorità locale che, forse perché sprovvista di una mappa cartografica della zona, o perché sprovvista di mezzi e uomini (solo una trentina gli operatori di protezione civile a Bijeljina), o per altre ragioni, ha stabilito un ordine di priorità degli interventi che non rispecchia la situazione reale, riscontrata attraverso i sopralluoghi effettuati dagli uomini della Protezione civile italiana (già a partire dal 24 maggio) e di quella slovena.
Quest'ultima, composta da 85 operatori della EHI (Enote za Hitre Intervencije – unità di pronto intervento) di Ljubljana è arrivata in loco la sera del 28 maggio e fin da subito, dopo gli opportuni sopralluoghi, è intervenuta, con turni sulle 24 ore, in operazioni di pompaggio, canalizzazione, sanificazione, disinfezione, rimozione di materiali ingombranti e sostanze pericolose, in stretta collaborazione e perfetta sinergia con la protezione civile italiana.
Oltre a sloveni e italiani erano presenti una sessantina di operatori provenienti dalla Turchia, impegnati in opere di canalizzazione e pompaggio acque, che hanno lasciato la città il 31 maggio.
Di lavoro da fare ce n'è molto, come riferiscono volontari e funzionari del team internazionale, un'osservazione che trova conferma nelle quindicimila case inabitabili solo nella città di Bijeljina, nei campi letteralmente devastati dall'acqua intorno alla città, con 500 carcasse di animali morti ritrovati finora e con la conseguente necessità di sanificazione, disinfezione e prevenzione.
Concludo dicendo che la collaborazione fra gli operatori sloveni e italiani, la passione e l'impegno visibili sui volti di tutti loro, la riconoscenza da parte della popolazione locale nei loro confronti mi hanno colpita profondamente. Non voglio con questo abbellire la tragedia, voglio semplicemente dire che l'attività dei 1.400.000 volontari italiani (di cui 8000 solo nella regione Friuli Venezia Giulia) dovrebbe essere valorizzata molto di più, anche dai mezzi di informazione a livello nazionale. Delle operazioni condotte a Bijeljina, ad esempio, non si trova traccia in rete, se non su alcuni giornali locali, soprattutto trentini, molto sensibili e attenti alle operazioni di protezione civile. Ma Giorgio, Massimo, Damiano, Giampaolo, Cesare, Roberto, Rosa, Nicola, Antonio e tutti gli altri meriterebbero molto di più. Analogamente maggiore attenzione dovrebbe essere data dagli organi di stampa alle migliaia di persone che in quest'ennesima tragedia dei Balcani hanno perso tutto, a volte anche la vita. Ma finché ai valichi confinari e negli aeroporti i cittadini UE continueranno ad avere un trattamento preferenziale rispetto agli "altri" temo che, salvo casi eclatanti di stampo "shock" o "scoop", i commenti alle agenzie di stampa saranno l'unico tipo di "informazione" che riceveremo.
Postilla: la Protezione civile italiana è rientrata domenica 8 giugno, dopo aver ricevuto il più che meritato riconoscimento da parte dell'ambasciatore italiano in Bosnia Erzegovina e, soprattutto, la riconoscenza da parte della popolazione e delle autorità locali. Mi informa Giorgio Visintini, della Protezione civile regionale che "a casa di Milena e nel circondario non c'è piu acqua in quanto le chiaviche (messe in funzione dalla protezione civile italiana, ndr) hanno funzionato a meraviglia…" Aggiunge che "rimangono dei punti critici nelle aree in depressione con poca cosa per le case. A casa di Milena si viaggia tranquillamente per strada, cominciano le crisi psicologiche di chi ha perso tutto."
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