Sono circa le 10 di sera di venerdì 13 giugno. In via Pascoli, dove l'Associazione Bosna Trst dispone temporaneamente di un magazzino, si carica l'ultimo dei tre furgoni di aiuti per la gente colpita dall'alluvione in Bosnia Erzegovina. Tempo di una doccia veloce e poi si parte, nel cuore della notte, destinazione Zavidovići.
Al confine tra Slovenia e Croazia solito docu-film del controllo passaporti, con i cittadini UE da una parte, gli "altri" da un'altra, a sottolineare in modo piuttosto evidente che "tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri", come diceva George Orwell ne "La fattoria degli animali".
Sebbene il contesto sia diverso, lo sputo in faccia alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo, con tanto di bava, è talmente percepibile che mi porta di riflesso a tirare fuori l'amuchina e a darmi una pulita al viso. Uno sputo che si trasforma in pugno quando vedo lo sguardo rassegnato delle persone scese da un autobus targato BiH (vista l'ora potrebbe essere quello diretto a Sarajevo) che, come mucche prima di andare al macello, fanno la fila allo sportello passaporti. Troppa fatica, evidentemente, per i poliziotti, scollarsi dalla sedia e salire sull'autobus: quelle 2.5 calorie potrebbero essere spese per cose ben più virili, va da sé.
Sebbene il contesto sia diverso, lo sputo in faccia alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo, con tanto di bava, è talmente percepibile che mi porta di riflesso a tirare fuori l'amuchina e a darmi una pulita al viso. Uno sputo che si trasforma in pugno quando vedo lo sguardo rassegnato delle persone scese da un autobus targato BiH (vista l'ora potrebbe essere quello diretto a Sarajevo) che, come mucche prima di andare al macello, fanno la fila allo sportello passaporti. Troppa fatica, evidentemente, per i poliziotti, scollarsi dalla sedia e salire sull'autobus: quelle 2.5 calorie potrebbero essere spese per cose ben più virili, va da sé.
Intorno alle 5.15 arriviamo a Slavonski Brod (confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina) dove tra un sonnellino e l'altro dei doganieri facciamo trascorrere un'ora e mezza in compagnia di pioggia e zanzare incazzate nere.
Penso ingenuamente che il più sia fatto e che, tempo due ore, siamo arrivati. Ma Juka e gli altri frenano subito il mio entusiasmo: "Dobbiamo andare allo "carinski terminal" (terminal doganale) di Tešanj, a Doboj jug".
"Vabbeh, un'altra oretta e mezza ce la faremo passare tra una sigaretta e un caffè", dico fra me e me, mentre attraversiamo Doboj che, libera da fango e fetore, continua a rimanere una città fantasma: alle otto di mattina, ora di punta, solo un paio di macchine e qualche pedone si aggirano per le strade dove negozi, bar, farmacie sono rigorosamente chiusi, o meglio morti e sepolti dai tre-quattro metri d'acqua che ha invaso la città un mese fa.
Alle 8.15 arriviamo al terminal doganale. Ci viene detto che dobbiamo aspettare. "Kurac, ma questi sono aiuti umanitari, mica oppio dall'Afghanistan transitato in Kosovo per alimentare le casse della …", inizio a divagare. "Più probabilmente, è in corso uno sciopero nel reparto inchiostro della fabbrica messicana di penne bic, mentre in Mongolia, causa problemi con la motosega, non è stato ancora abbattuto l'albero diretto alla cartiera finlandese…", divago sempre più finché, dopo cinque ore e mezza di attesa e dopo ripetuti solleciti da parte dei ragazzi di Bosna Trst non arriva il nulla osta.
Intensificazione dei controlli da parte del governo per evitare che qualcuno faccia il furbo (delinquente sarebbe la parola più appropriata)? Fine dello stato d'emergenza per cui gli aiuti non hanno precedenza rispetto agli altri automezzi? Qualsiasi sia il motivo che ha determinato un'attesa così lunga, l'unica certezza è che siamo arrivati a destinazione dopo 15 ore di viaggio, di cui 7 passate in dogana.
In nemmeno un'ora i volontari di Bosna Trst scaricano le tre tonnellate di aiuti nel magazzino indicato dalla protezione civile della cittadina e messo a disposizione da un privato. I responsabili ci dicono che, a Zavidovići, l'alluvione ha colpito 400 abitazioni, seicento persone sono senza casa, tutti gli orti sono stati distrutti. Non servono capi d'abbigliamento ma cibo, prodotti per l'igiene, prodotti per bambini.
Finito di scaricare qualcuno va a riposare, qualcuno va a trovare amici e parenti. Io, Vahid e Fatima, accompagnati da Amir, andiamo a Topčić Polje e Željezno polje. Poi, chi prima chi dopo, tutti a nanna perché 48 ore senza dormire si fanno sentire sopratutto per chi, come Juka, Vahid, Fatima, Mujo, Šefik, Alen, Šemso ha lavorato tutta la settimana, ha presidiato il magazzino per raccogliere gli aiuti e, il venerdì sera, invece di stare con la famiglia e riposare ha affrontato un viaggio di 15 ore per portare aiuto a chi ne ha bisogno.
Per andare/tornare alla pagina dedicata all'Alluvione in Bosnia Erzegovina clicca qui.
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