martedì 1 luglio 2014

Campi profughi di ieri, luoghi di memoria di oggi

Έτσι, δεν γνωρίζω è una celebre frase di Socrate che significa "so di non sapere". La faccio mia in questa occasione per sottolineare il fatto che io so di non sapere cosa significhi essere profughi, cosa significhi raccogliere in fretta e furia le proprie cose e abbandonare la propria terra, essere poi rinchiusa insieme ad altri in baracche di legno improvvisate alla bell'e meglio, dover uscire nel pieno della notte per andare al bagno, dover far la fila per un piatto di minestra, non avere certezze sul mio destino e su quello della mia famiglia, sentirmi sempre e dovunque un'esule. So di non sapere tutto questo ma ho provato ciononostante a comprenderlo, recandomi qualche tempo fa in uno dei luoghi simbolo di Trieste, il centro raccolta profughi di Padriciano, che ha accolto esuli dall'Istria e dalla Dalmazia dopo la seconda guerra mondiale e, principalmente, dopo l'entrata in vigore del Memorandum di Londra del 1954, concernente il Territorio Libero di Trieste, che assegnava la zona A all'Italia e la zona B (di cui Istria e Dalmazia facevano parte) all'allora Jugoslavija socialista di Tito.
Le Storie delle migliaia di persone che, per periodi più o meno lunghi, sono state "accolte" al centro profughi di Padriciano avrebbero tutte il sacrosanto diritto di essere raccontate, una per una. Mi appello dunque ai lettori, al loro desiderio di raccontarsi, di rendere partecipi gli altri delle loro vicende, per poter continuare questa ricerca fra le Storie, le Memorie, i Ricordi. Parlo al plurale, come sempre, perché avendo studiato Storia mi sono resa conto di quanti limiti comporti un termine assoluto come questo, in primo luogo quello di non dare il giusto spazio alle vicende individuali, che sono, poi, le vicende di tutti noi.


I luoghi sono dei grandi narratori di storie. Bisogna solo lasciarli parlare, con rispetto e soprattutto con grande umiltà.

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