"Se fossi nata ai tempi della guerra, probabilmente non sarei qui" sono le parole pronunciate da una ragazza, circa due anni fa, dopo aver visto un documentario sull'Aktion T4, il programma di sterminio sistematico dei disabili fisici e psichici, perpetrato dal regime nazista in nome del mostruoso concetto di "purezza della razza", che tra il '40 e il '41 portò alla morte di più di settantamila persone, bambini inclusi (Qui si possono trovare molte informazioni dettagliate sull'argomento).
Queste parole, di per sé incisive, diventano una sferzata al cuore nel momento in cui a pronunciarle è una ragazza che soffre di disabilità intellettiva fin dalla nascita, come mi racconta Marco Tortul, regista della compagnia teatrale Oltre quella sedia che ieri, all'auditorium del Museo Revoltella, ha portato in scena lo spettacolo "Di segni e di passaggi", il cui tema centrale è proprio la tragedia dell'Aktion T4, nel contesto più ampio delle atrocità commesse dal regime nazista nei confronti di tutti quelli che lo stesso considerava degli "Untermenschen" (sub-umani) e nei confronti degli oppositori politici.
Lo spettacolo, allo stesso tempo commovente e per nulla scontato, ha visto l'alternarsi di momenti intensi di recitazione corporale e gestuale; racconti tratti dalla mostra "Scritte, lettere e voci: tracce di vittime e superstiti della Risiera di San Sabba", allestita presso il museo della Risiera stessa; immagini e video d'epoca; riprese realizzate di recente dalla compagnia alla Risiera di San Sabba e al museo ferroviario della Stazione di Sant'Andrea a Trieste, nonché riprese realizzate l'estate scorsa - durante il consueto stage annuale della compagnia - nella piazza centrale di Villa Santina dove, spiega Marco, "c'è una locomotiva storica, in funzione ai tempi della guerra, che è stata restaurata".
Il punto di partenza dello spettacolo (che fa parte della rassegna delle attività culturali organizzata dal comune di Trieste in occasione della giornata della memoria), nonché suo momento conclusivo è costituito dal riso, "in quanto speranza, in quanto positività". E la Risiera di san Sabba, osserva Marco, prima di diventare una fabbrica degli orrori fu "una fabbrica per la pilatura del riso", cioè l'ultima fase della preparazione del riso prima di essere messo in commercio.
Fabbrica degli orrori, fabbrica della speranza, due concetti di segno marcatamente opposto. Ed è proprio a partire dagli opposti che la compagnia triestina di teatro sperimentale ha iniziato a lavorare circa un mese fa, per mettere in scena "Di segni e di passaggi", inserendo man mano numerosi elementi significativi, quali "il telo rosso, che raffigura la coperta insanguinata", oggetto di uno dei racconti in mostra alla Risiera.
Per capire meglio lo spettacolo, la compagnia e il teatro ne parlo con alcuni dei protagonisti, che sono sicuramente più titolati di me a raccontarlo e a raccontarsi, per cui cedo loro volentieri la parola, nella speranza che la performance venga riproposta in altre occasioni e in altre parti d'Italia e ottenga il successo di pubblico che ha avuto ieri al Revoltella.
Partiamo da Maria Benedetta Pollucci, in arte Hollie, che si dice "contenta di fare teatro", di cui ama soprattutto “le scene, le canzoni, il corpo che si esprime, la possibilità di parlare, di comunicare, di stare assieme”. Poi mi racconta che l'ideatore dello spettacolo è Marco (si riferisce al regista, Marco Tortul) e che la performance di oggi le è piaciuta molto.
“Cosa in particolare ti è piaciuto in particolare dello spettacolo?”, le domando.
Mi risponde, senza esitazione: “La mia parte, soprattutto quando ho buttato il riso”.
“E che significato ha per te questo gesto di buttare il riso?”
“Un passo avanti, un passo avanti”.
Anche Debora Parisato, da quasi quattro anni attrice della compagnia teatrale di Oltre quella sedia, ama molto il teatro perché, spiega, “mi permette di esprimermi, di fare conoscenze, di far capire agli altri come siamo noi”.
Molti i momenti belli dello spettacolo appena concluso, secondo Debora: quello di apertura, dove la protagonista era Deborah stessa, i momenti di gruppo, ma anche quello in cui una sua compagna faceva dondolare uno specchio, “a segnare il tempo che passa” e il finale, dove “la nonna racconta alla nipote la vita passata, la sua storia”. Il senso dello spettacolo è molto chiaro, dice Debora, quello di “pensare alle persone che non ci sono più, che comunque sono esistite, hanno lasciato un segno, il segno della vita che rinascerà”, un modo per dire “anch'io sono esistito e ti lascio un segno”.
L'ultimo degli intervistati è Pavel Berdon che fa teatro da cinque anni e conta al suo attivo varie esperienze: dal teatro sloveno di Trieste, passando per Sežana, alla Bussola dell'attore e all'Atto V, nonché alcuni laboratori. Da qualche mese recita insieme con la compagnia Oltre quella sedia.
“Ti trovi bene con la compagnia?” gli domando.
“Sì, sì molto bene. Si lavora molto bene, Marco [Marco Tortul, il regista, ndt) è molto bravo. Si lavora duro, ma questo è positivo: sia per motivi caratteriali che per costituzione fisica, lavorare molto sul corpo mi piace”.
“Oltre a lavorare sul corpo, c'è qualcos'altro che ti piace del teatro?”
“ Immedesimarmi in un altro personaggio (che può essere simile a me o diverso) ovviamente nei limiti che si può osare, è una cosa che mi diverte. E ovviamente quando c'è il pubblico è molto soddisfacente. Provare ed esibirsi davanti al pubblico sono entrambi soddisfacenti ma c'è una differenza, la stessa che passa tra registrare un disco e cantare ad un concerto.”
Passando allo spettacolo appena concluso Marco mi racconta che essendo sloveno, conosce bene gli eventi tragici che hanno colpito il suo popolo, oltre ovviamente agli ebrei e ad altri, durante la seconda guerra mondiale. Ciò gli ha permesso di “entrare subito nell'atmosfera”, in cui hanno giocato un ruolo non indifferente “la musica, il palcoscenico, le coreografie e la recitazione”.
“Il prossimo appuntamento?” gli chiedo al termine dell'intervista.
“Domenica prossima alle 17.30 a di Roiano”.
Queste parole, di per sé incisive, diventano una sferzata al cuore nel momento in cui a pronunciarle è una ragazza che soffre di disabilità intellettiva fin dalla nascita, come mi racconta Marco Tortul, regista della compagnia teatrale Oltre quella sedia che ieri, all'auditorium del Museo Revoltella, ha portato in scena lo spettacolo "Di segni e di passaggi", il cui tema centrale è proprio la tragedia dell'Aktion T4, nel contesto più ampio delle atrocità commesse dal regime nazista nei confronti di tutti quelli che lo stesso considerava degli "Untermenschen" (sub-umani) e nei confronti degli oppositori politici.
Lo spettacolo, allo stesso tempo commovente e per nulla scontato, ha visto l'alternarsi di momenti intensi di recitazione corporale e gestuale; racconti tratti dalla mostra "Scritte, lettere e voci: tracce di vittime e superstiti della Risiera di San Sabba", allestita presso il museo della Risiera stessa; immagini e video d'epoca; riprese realizzate di recente dalla compagnia alla Risiera di San Sabba e al museo ferroviario della Stazione di Sant'Andrea a Trieste, nonché riprese realizzate l'estate scorsa - durante il consueto stage annuale della compagnia - nella piazza centrale di Villa Santina dove, spiega Marco, "c'è una locomotiva storica, in funzione ai tempi della guerra, che è stata restaurata".
Il punto di partenza dello spettacolo (che fa parte della rassegna delle attività culturali organizzata dal comune di Trieste in occasione della giornata della memoria), nonché suo momento conclusivo è costituito dal riso, "in quanto speranza, in quanto positività". E la Risiera di san Sabba, osserva Marco, prima di diventare una fabbrica degli orrori fu "una fabbrica per la pilatura del riso", cioè l'ultima fase della preparazione del riso prima di essere messo in commercio.
Fabbrica degli orrori, fabbrica della speranza, due concetti di segno marcatamente opposto. Ed è proprio a partire dagli opposti che la compagnia triestina di teatro sperimentale ha iniziato a lavorare circa un mese fa, per mettere in scena "Di segni e di passaggi", inserendo man mano numerosi elementi significativi, quali "il telo rosso, che raffigura la coperta insanguinata", oggetto di uno dei racconti in mostra alla Risiera.
Per capire meglio lo spettacolo, la compagnia e il teatro ne parlo con alcuni dei protagonisti, che sono sicuramente più titolati di me a raccontarlo e a raccontarsi, per cui cedo loro volentieri la parola, nella speranza che la performance venga riproposta in altre occasioni e in altre parti d'Italia e ottenga il successo di pubblico che ha avuto ieri al Revoltella.
Partiamo da Maria Benedetta Pollucci, in arte Hollie, che si dice "contenta di fare teatro", di cui ama soprattutto “le scene, le canzoni, il corpo che si esprime, la possibilità di parlare, di comunicare, di stare assieme”. Poi mi racconta che l'ideatore dello spettacolo è Marco (si riferisce al regista, Marco Tortul) e che la performance di oggi le è piaciuta molto.
“Cosa in particolare ti è piaciuto in particolare dello spettacolo?”, le domando.
Mi risponde, senza esitazione: “La mia parte, soprattutto quando ho buttato il riso”.
“E che significato ha per te questo gesto di buttare il riso?”
“Un passo avanti, un passo avanti”.
Anche Debora Parisato, da quasi quattro anni attrice della compagnia teatrale di Oltre quella sedia, ama molto il teatro perché, spiega, “mi permette di esprimermi, di fare conoscenze, di far capire agli altri come siamo noi”.
Molti i momenti belli dello spettacolo appena concluso, secondo Debora: quello di apertura, dove la protagonista era Deborah stessa, i momenti di gruppo, ma anche quello in cui una sua compagna faceva dondolare uno specchio, “a segnare il tempo che passa” e il finale, dove “la nonna racconta alla nipote la vita passata, la sua storia”. Il senso dello spettacolo è molto chiaro, dice Debora, quello di “pensare alle persone che non ci sono più, che comunque sono esistite, hanno lasciato un segno, il segno della vita che rinascerà”, un modo per dire “anch'io sono esistito e ti lascio un segno”.
L'ultimo degli intervistati è Pavel Berdon che fa teatro da cinque anni e conta al suo attivo varie esperienze: dal teatro sloveno di Trieste, passando per Sežana, alla Bussola dell'attore e all'Atto V, nonché alcuni laboratori. Da qualche mese recita insieme con la compagnia Oltre quella sedia.
“Ti trovi bene con la compagnia?” gli domando.
“Sì, sì molto bene. Si lavora molto bene, Marco [Marco Tortul, il regista, ndt) è molto bravo. Si lavora duro, ma questo è positivo: sia per motivi caratteriali che per costituzione fisica, lavorare molto sul corpo mi piace”.
“Oltre a lavorare sul corpo, c'è qualcos'altro che ti piace del teatro?”
“ Immedesimarmi in un altro personaggio (che può essere simile a me o diverso) ovviamente nei limiti che si può osare, è una cosa che mi diverte. E ovviamente quando c'è il pubblico è molto soddisfacente. Provare ed esibirsi davanti al pubblico sono entrambi soddisfacenti ma c'è una differenza, la stessa che passa tra registrare un disco e cantare ad un concerto.”
Passando allo spettacolo appena concluso Marco mi racconta che essendo sloveno, conosce bene gli eventi tragici che hanno colpito il suo popolo, oltre ovviamente agli ebrei e ad altri, durante la seconda guerra mondiale. Ciò gli ha permesso di “entrare subito nell'atmosfera”, in cui hanno giocato un ruolo non indifferente “la musica, il palcoscenico, le coreografie e la recitazione”.
“Il prossimo appuntamento?” gli chiedo al termine dell'intervista.
“Domenica prossima alle 17.30 a di Roiano”.
Avete capito? Domenica 8 febbraio, ore 17.30 presso il teatro del ricreatorio di Roiano. Non mancate!
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