Per motivi che non sto a spiegare e in attesa di dedicarmi a lavori più impegnativi, mi è capitato recentemente di occuparmi di architettura e, nell'osservare con attenzione alcuni elementi del passato, presenti a Trieste, emerge una sorta di sintesi armonica tra le diversità, che in arte, quando consapevolmente adottato come modello, viene definito "eclettismo" (dal greco ἐκλέγειν - λέγειν, raccogliere, scegliere, legato al prefisso ἑk).
Tale concetto chiaramente sfugge a quegli architetti postfuturisti-premoderni (termine forse improprio, ma che mi permette di esprimere il concetto) che, con il benestare dei rispettivi committenti, calpestano con totale assenza di empatia ciò che si trova sotto i loro piedi e, al pari, distruggono l'armonia che li circonda, creando una sorta di buco nero che l'osservatore, anche quello meno esperto, non riesce a colmare. Il risultato appare come un contenitore informe, in cui sono presenti oggetti sparsi senza alcun legame l'uno con l'altro.
Ed è la stessa sensazione che mi trasmettono (nonostante la buona fede di chi li ha ha coniati e li utilizza correntemente) gli epiteti multietnico, multireligioso, multiculturale, etc… dove il prefisso -multi, non suscita l'idea di armonia ma al contrario, indica mondi separati inglobati in un unica dimensione costrittiva.
Per questo motivo preferirei di gran lunga che nel linguaggio comune rientrasse con eleganza il termine eclettico, anche riguardo a Trieste, nella speranza che prima o poi le ferite (passate e presenti) vengano sanate ed emerga una volontà condivisa di fondere gli elementi migliori tratti dalle diverse culture che fortunatamente continuano ad animare la città.
N.B. Forse è superfluo, preciso tuttavia che le immagini sotto riportate non devono essere considerate immagini di architettura, bensì semplici interpretazioni personali di elementi architettonici.
Aggiungo inoltre che molti edifici, forse più rappresentativi dell'ecletticità della città, non sono stati inseriti per motivi di ordine visivo e semantico soprattutto: striscioni politici, bandiere, insegne luminose, elementi decorativi aggiunti in un secondo momento, elementi di disturbo (automobili, lampioni di dimensioni sproporzionate, misure di sicurezza, impalcature, etc...) impediscono una raffigurazione pulita dei soggetti.
Tale concetto chiaramente sfugge a quegli architetti postfuturisti-premoderni (termine forse improprio, ma che mi permette di esprimere il concetto) che, con il benestare dei rispettivi committenti, calpestano con totale assenza di empatia ciò che si trova sotto i loro piedi e, al pari, distruggono l'armonia che li circonda, creando una sorta di buco nero che l'osservatore, anche quello meno esperto, non riesce a colmare. Il risultato appare come un contenitore informe, in cui sono presenti oggetti sparsi senza alcun legame l'uno con l'altro.
Ed è la stessa sensazione che mi trasmettono (nonostante la buona fede di chi li ha ha coniati e li utilizza correntemente) gli epiteti multietnico, multireligioso, multiculturale, etc… dove il prefisso -multi, non suscita l'idea di armonia ma al contrario, indica mondi separati inglobati in un unica dimensione costrittiva.
Per questo motivo preferirei di gran lunga che nel linguaggio comune rientrasse con eleganza il termine eclettico, anche riguardo a Trieste, nella speranza che prima o poi le ferite (passate e presenti) vengano sanate ed emerga una volontà condivisa di fondere gli elementi migliori tratti dalle diverse culture che fortunatamente continuano ad animare la città.
N.B. Forse è superfluo, preciso tuttavia che le immagini sotto riportate non devono essere considerate immagini di architettura, bensì semplici interpretazioni personali di elementi architettonici.
Aggiungo inoltre che molti edifici, forse più rappresentativi dell'ecletticità della città, non sono stati inseriti per motivi di ordine visivo e semantico soprattutto: striscioni politici, bandiere, insegne luminose, elementi decorativi aggiunti in un secondo momento, elementi di disturbo (automobili, lampioni di dimensioni sproporzionate, misure di sicurezza, impalcature, etc...) impediscono una raffigurazione pulita dei soggetti.
In primo piano la Fontana dei quattro continenti (scult. Giovanni Battista Mazzoleni, 1754), con alle spalle il Palazzo del Municipio (arch. Giuseppe Bruni, 1877) |
In primo piano la Fontana dei Tritoni (scult. Franz Schranz, 1899) e sullo sfondo il Palazzo delle Poste (arch. Friedrich Setz, 1894) |
Chiesa di Santa Maria Maggiore (arch., Giacomo Briani, Andrea Pozzo, 1682, successivamente ristrutturata) |
Basilica di San Silvestro (XII sec.) |
Palazzo del Municipio (arch. Giuseppe Bruni, 1877) |
Palazzo Dreher (arch. Emil Bressler, Gustavo Pulitzer-Finaly, 1910) |
Palazzo Aedes (arch. Arduino Berlam, 1928) |
Palazzo Carciotti (arch. Matteo Pertsch, Giovanni Righetti, 1803) |
Palazzo della Borsa (arch. Antonio Mollari, 1806) |
Galleria Tergesteo (arch. Francesco Bruyn, 1913) |
Ex pescheria (arch. Giorgio Polli, 1913) |
Casa Smolars (arch. Luigi De Paoli, 1906) |
Palazzo della RAS (arch. Ruggero e Arduino Berlam, 1914) |
Palazzo Gopcevich (arch. Giovanni Andrea Berlam, 1850) |
Palazzo Gopcevich (arch. Giovanni Andrea Berlam, 1850) |
Casa Smolars (arch. Luigi De Paoli, 1906) |
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