Parto da un'osservazione fatta da Anita Eusebi, durante una recente conversazione, relativamente ad Antonio Staiano, trovato senza vita nel suo letto, il 6 gennaio scorso, fra le mura dell'ospedale psichiatrico giudiziale di Aversa, come riportato nell'articolo "Giustizia: un altro internato muore in cella come un cane… e gli Opg restano aperti", edito su "Forum salute mentale".
Dice Anita a riguardo: "noi fuori tante belle parole, chiacchiere, libri, film, applausi, convegni, ... e intanto dentro si continua a morire. Direzione, l'ennesima proroga [il differimento della chiusura degli OPG, ndr]."
Le parole di Anita, in tutta sincerità, mi hanno creato un certo malessere, dovuto al fatto che anch'io faccio parte di quel "noi" che a volte partecipa ai "convegni", legge e commenta "libri", guarda e commenta "film", sporadicamente "applaude", più spesso fotografa e si indigna per tragedie come quella accaduta al signor Staiano, "l’ultimo di una lista con altre quindici persone, di età compresa tra i ventotto e i cinquantotto anni, morte (suicidio, malattia e uno per omicidio) negli Opg di Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione, Napoli e Reggio Emilia, a partire dal momento in cui, nel 2012 è stata decisa la loro chiusura", (cit. Dario Stefano dell'Aquila, 13 gennaio 2015 su Napoli monitor).
E ciò che più mi disorienta, in tutto questo preambolo, non è il fatto che di tragedie come questa se ne parli (anzi, forse se ne parla troppo poco) ma, come spesso accade per "i matti" in generale (il libro "La repubblica dei matti" di John Foot pubblicato di recente da Feltrinelli, è solo l'ultimo degli esempi) a parlare di "matti" siamo sempre "noi", i cosiddetti "normali".
Ma i "matti", invece? In quali occasioni li vediamo pubblicamente prendere la parola, senza bisogno che qualcuno porga loro il microfono, o la telecamera, o l'obiettivo della macchina fotografica? La risposta a questa domanda, che mi crea non poco imbarazzo (e mette un po' in discussione tutto quello che con "i matti" ho fatto finora), è semplice: in casi del tutto eccezionali.
Una di queste "eccezioni alla regola" è costituita dal gruppo teatrale"Accademia della follia", che "seguo" (appunto, "io=noi" versus "loro", contraddizione evidente) da due anni. Lì sono i matti, con tutte le loro difficoltà, a prendere la parola, quotidianamente e ognuno secondo le sue possibilità. Un modello di democrazia? Assolutamente no! Avete mai visto una compagnia teatrale "democratica"? Ma l'Accademia non è neanche un parco giochi, dove le persone si "parcheggiano" perché non hanno di meglio/altro da fare. E' invece una compagnia teatrale che forma attori e li porta sul palcoscenico, come è accaduto dal 20 al 23 gennaio alla sala Bartoli del Politeama Rossetti di Trieste, con lo spettacolo Obelix e Asterix, scritto e diretto da Claudio Misculin.
E ciò che più mi disorienta, in tutto questo preambolo, non è il fatto che di tragedie come questa se ne parli (anzi, forse se ne parla troppo poco) ma, come spesso accade per "i matti" in generale (il libro "La repubblica dei matti" di John Foot pubblicato di recente da Feltrinelli, è solo l'ultimo degli esempi) a parlare di "matti" siamo sempre "noi", i cosiddetti "normali".
Ma i "matti", invece? In quali occasioni li vediamo pubblicamente prendere la parola, senza bisogno che qualcuno porga loro il microfono, o la telecamera, o l'obiettivo della macchina fotografica? La risposta a questa domanda, che mi crea non poco imbarazzo (e mette un po' in discussione tutto quello che con "i matti" ho fatto finora), è semplice: in casi del tutto eccezionali.
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