domenica 15 giugno 2014

Trst - Zavidovići: breve cronistoria di un'odissea umanitaria

Sono circa le 10 di sera di venerdì 13 giugno. In via Pascoli, dove l'Associazione Bosna Trst dispone temporaneamente di un magazzino, si carica l'ultimo dei tre furgoni di aiuti per la gente colpita dall'alluvione in Bosnia Erzegovina. Tempo di una doccia veloce e poi si parte, nel cuore della notte, destinazione Zavidovići.
Al confine tra Slovenia e Croazia solito docu-film del controllo passaporti, con i cittadini UE da una parte, gli "altri" da un'altra, a sottolineare in modo piuttosto evidente che "tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri", come diceva George Orwell ne "La fattoria degli animali".
Sebbene il contesto sia diverso, lo sputo in faccia alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo, con tanto di bava, è talmente percepibile che mi porta di riflesso a tirare fuori l'amuchina e a darmi una pulita al viso. Uno sputo che si trasforma in pugno quando vedo lo sguardo rassegnato delle persone scese da un autobus targato BiH (vista l'ora potrebbe essere quello diretto a Sarajevo) che, come mucche prima di andare al macello, fanno la fila allo sportello passaporti. Troppa fatica, evidentemente, per i poliziotti, scollarsi dalla sedia e salire sull'autobus: quelle 2.5 calorie potrebbero essere spese per cose ben più virili, va da sé.
Intorno alle 5.15 arriviamo a Slavonski Brod (confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina) dove tra un sonnellino e l'altro dei doganieri facciamo trascorrere un'ora e mezza in compagnia di pioggia e zanzare incazzate nere.
Penso ingenuamente che il più sia fatto e che, tempo due ore, siamo arrivati. Ma Juka e gli altri frenano subito il mio entusiasmo: "Dobbiamo andare allo "carinski terminal" (terminal doganale) di Tešanj, a Doboj jug".
"Vabbeh, un'altra oretta e mezza ce la faremo passare tra una sigaretta e un caffè", dico fra me e me, mentre attraversiamo Doboj che, libera da fango e fetore, continua a rimanere una città fantasma: alle otto di mattina, ora di punta, solo un paio di macchine e qualche pedone si aggirano per le strade dove negozi, bar, farmacie sono rigorosamente chiusi, o meglio morti e sepolti dai tre-quattro metri d'acqua che ha invaso la città un mese fa.
Alle 8.15 arriviamo al terminal doganale. Ci viene detto che dobbiamo aspettare. "Kurac, ma questi sono aiuti umanitari, mica oppio dall'Afghanistan transitato in Kosovo per alimentare le casse della …", inizio a divagare. "Più probabilmente, è in corso uno sciopero nel reparto inchiostro della fabbrica messicana di penne bic, mentre in Mongolia, causa problemi con la motosega, non è stato ancora abbattuto l'albero diretto alla cartiera finlandese…", divago sempre più finché, dopo cinque ore e mezza di attesa e dopo ripetuti solleciti da parte dei ragazzi di Bosna Trst non arriva il nulla osta.
Intensificazione dei controlli da parte del governo per evitare che qualcuno faccia il furbo (delinquente sarebbe la parola più appropriata)? Fine dello stato d'emergenza per cui gli aiuti non hanno precedenza rispetto agli altri automezzi? Qualsiasi sia il motivo che ha determinato un'attesa così lunga, l'unica certezza è che siamo arrivati a destinazione dopo 15 ore di viaggio, di cui 7 passate in dogana.
In nemmeno un'ora i volontari di Bosna Trst scaricano le tre tonnellate di aiuti nel magazzino indicato dalla protezione civile della cittadina e messo a disposizione da un privato. I responsabili ci dicono che, a Zavidovići, l'alluvione ha colpito 400 abitazioni, seicento persone sono senza casa, tutti gli orti sono stati distrutti. Non servono capi d'abbigliamento ma cibo, prodotti per l'igiene, prodotti per bambini. 
Finito di scaricare qualcuno va a riposare, qualcuno va a trovare amici e parenti. Io, Vahid e Fatima, accompagnati da Amir, andiamo a Topčić Polje e Željezno polje. Poi, chi prima chi dopo, tutti a nanna perché 48 ore senza dormire si fanno sentire sopratutto per chi, come Juka, Vahid, Fatima, Mujo, Šefik, Alen, Šemso ha lavorato tutta la settimana, ha presidiato il magazzino per raccogliere gli aiuti e, il venerdì sera, invece di stare con la famiglia e riposare ha affrontato un viaggio di 15 ore per portare aiuto a chi ne ha bisogno.


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sabato 14 giugno 2014

Željezno polje, l'ultimo girone dell'inferno

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Benvenuti a Topčić polje, un mese dopo l'alluvione

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sabato 7 giugno 2014

L'alluvione nei Balcani: la casa della Milena

"La casa della Milena" si trova a Velino Selo (Bijeljina), nella cosiddetta "zona rossa", dove molte strade non sono transitabili se non a bordo di un fuoristrada o persino, in alcuni casi, di una barca.
Situato nel punto di confluenza tra Drina e Sava, il villaggio è stato letteralmente sommerso dall'acqua e il fetore che vi si respira (un misto tra marcio, fogna, carcasse di animali in decomposizione) fa venire il voltastomaco. Ma più dell'odore, quello che colpisce sono i volti delle persone, vittime di questa alluvione che ha flagellato Bosnia Erzegovina, Serbia e parte della Croazia.
"Abbiamo perso tutto. Solo una vacca è rimasta viva", mi dice un'anziana contadina mostrandomi i segni della devastazione, fuori e dentro la casa dove restano oramai, inconfondibili, solo le impronte sui muri della Drina, la responsabile del disastro in questa zona.
E proprio a Velino Selo, oltre che in altre zone del circondario della città, operano dal 29 maggio i ventitré volontari e funzionari della protezione civile del Friuli Venezia Giulia insieme con i sei del Molise, gli undici della Provincia autonoma di Trento (arrivati il 31 maggio), i due del Dipartimento di Roma, i quattro dell'Associazione nazionale carabinieri.
Gli operatori, attivi dalle quattordici alle sedici ore al giorno e con l'ausilio di attrezzature per il pompaggio acque (pompe, idrovore, tubazioni, etc…) sono impegnati, come spiega Cesare Nonino, della Protezione civile FVG, a "dare il primo soccorso alla popolazione”, che concretamente consiste nello svuotare dall'acqua abitazioni, cantine, terreni.
L'operazione è impegnativa ed è resa complicata dalla presenza di acqua di falda, oltre a quella di fiume, dall'assenza di fognature, dalla conformazione pianeggiante del territorio, oltre che da una scarsa partecipazione da parte dell'autorità locale che, forse perché sprovvista di una mappa cartografica della zona, o perché sprovvista di mezzi e uomini (solo una trentina gli operatori di protezione civile a Bijeljina), o per altre ragioni, ha stabilito un ordine di priorità degli interventi che non rispecchia la situazione reale, riscontrata attraverso i sopralluoghi effettuati dagli uomini della Protezione civile italiana (già a partire dal 24 maggio) e di quella slovena.
Quest'ultima, composta da 85 operatori della EHI (Enote za Hitre Intervencije – unità di pronto intervento) di Ljubljana è arrivata in loco la sera del 28 maggio e fin da subito, dopo gli opportuni sopralluoghi, è intervenuta, con turni sulle 24 ore, in operazioni di pompaggio, canalizzazione, sanificazione, disinfezione, rimozione di materiali ingombranti e sostanze pericolose, in stretta collaborazione e perfetta sinergia con la protezione civile italiana.
Oltre a sloveni e italiani erano presenti una sessantina di operatori provenienti dalla Turchia, impegnati in opere di canalizzazione e pompaggio acque, che hanno lasciato la città il 31 maggio.
Di lavoro da fare ce n'è molto, come riferiscono volontari e funzionari del team internazionale, un'osservazione che trova conferma nelle quindicimila case inabitabili solo nella città di Bijeljina, nei campi letteralmente devastati dall'acqua intorno alla città, con 500 carcasse di animali morti ritrovati finora e con la conseguente necessità di sanificazione, disinfezione e prevenzione.
Concludo dicendo che la collaborazione fra gli operatori sloveni e italiani, la passione e l'impegno visibili sui volti di tutti loro, la riconoscenza da parte della popolazione locale nei loro confronti mi hanno colpita profondamente. Non voglio con questo abbellire la tragedia, voglio semplicemente dire che l'attività dei 1.400.000 volontari italiani (di cui 8000 solo nella regione Friuli Venezia Giulia) dovrebbe essere valorizzata molto di più, anche dai mezzi di informazione a livello nazionale. Delle operazioni condotte a Bijeljina, ad esempio, non si trova traccia in rete, se non su alcuni giornali locali, soprattutto trentini, molto sensibili e attenti alle operazioni di protezione civile. Ma Giorgio, Massimo, Damiano, Giampaolo, Cesare, Roberto, Rosa, Nicola, Antonio e tutti gli altri meriterebbero molto di più. Analogamente maggiore attenzione dovrebbe essere data dagli organi di stampa alle migliaia di persone che in quest'ennesima tragedia dei Balcani hanno perso tutto, a volte anche la vita. Ma finché ai valichi confinari e negli aeroporti i cittadini UE continueranno ad avere un trattamento preferenziale rispetto agli "altri" temo che, salvo casi eclatanti di stampo "shock" o "scoop", i commenti alle agenzie di stampa saranno l'unico tipo di "informazione" che riceveremo.

Alluvione BIjeljina
Alluvione Bijeljina Velino Selo
Alluvione Bijeljina EHI Lljubljana
Alluvione Bijeljina Velino Selo
Alluvione Bijeljina EHI Lljubljana
Alluvione Bijeljina
Alluvione Bijeljina Velino Selo
Alluvione Bijeljina sulla galena del fiume Sava
Alluvione Bijeljina Velino Selo
Alluvione Bijeljina
Alluvione Bijeljina il canale dei Turchi
Alluvione Bijeljina Protezione civile italiana
Alluvione Bijeljina EHI Lljubljana
Alluvione Bijeljina EHI Lljubljana
Alluvione Bijeljina Protezione civile italiana
Alluvione Bijeljina EHI Lljubljana
Alluvione Bijeljina Protezione civile italiana

Postilla: la Protezione civile italiana è rientrata domenica 8 giugno, dopo aver ricevuto il più che meritato riconoscimento da parte dell'ambasciatore italiano in Bosnia Erzegovina e, soprattutto, la riconoscenza da parte della popolazione e delle autorità locali. Mi informa Giorgio Visintini, della Protezione civile regionale che "a casa di Milena e nel circondario non c'è piu acqua in quanto le chiaviche (messe in funzione dalla protezione civile italiana, ndr) hanno funzionato a meraviglia…" Aggiunge che "rimangono dei punti critici nelle aree in depressione con poca cosa per le case. A casa di Milena si viaggia tranquillamente per strada, cominciano le crisi psicologiche di chi ha perso tutto."

Clicca qui per maggiori informazioni sulla situazione in BiH e, specialmente, a Doboj e Bijeljina

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