In Bosnia Erzegovina, paese martoriato tra il 1992 e il 1996 da una guerra a tutti purtroppo ben nota, che ha visto dimezzati i posti di lavoro nel settore industriale (passati dal 44% di prima della guerra all'attuale 19,5%), dove gli occupati costituiscono solamente il 32% della popolazione attiva, e dove la politica di "ricostruzione" ha privilegiato le liberalizzazioni e deregolamentazioni al fine di attrarre capitali dall'estero, non tutti hanno diritto all'assistenza sanitaria.
Più di 600.000, secondo la stampa locale, sarebbero le persone senza assicurazione sanitaria, più del 16% della popolazione totale. Si tratta, per lo più, di disoccupati, di lavoratori in nero, o di occupati i cui datori di lavoro, però, non versano i contributi previdenziali.
Sebbene la legge prescriva l'obbligo di prestare le prime cure in casi di emergenza e, di conseguenza, il diritto di ricevere assistenza, a prescindere se si dispone o meno di un'assicurazione, tale diritto può venir meno se il concetto "prime cure" viene interpretato in modo diverso a seconda della struttura e/o del personale di turno.
Può quindi accadere che una donna in stato di gravidanza si senta male, vada al Pronto soccorso, le venga diagnosticato un aborto spontaneo, le venga sì fermata l'emorragia ma non le venga praticato il raschiamento né al primo accesso né, dopo qualche giorno, al secondo perché priva di assicurazione sanitaria. Non disponendo - questa la giustificazione ufficiale - dei mezzi finanziari sufficienti per coprire il costo dell'intervento chirurgico (980 marchi bosniaci, pari a circa 490 euro), l'ospedale può richiedere alla donna di pagare di propria tasca "la parcella". Ma la donna può non disporre di questa cifra, può quindi rischiare la setticemia, può quindi rischiare di morire.
È questo l' “Episodio nella vita di un raccoglitore di ferro”, realmente accaduto, di cui parla il bellissimo film del regista Danis Tanović – titolo originale “Epizoda u životu berača željaza”, trad. "An episode in the life of an iron picker" - vincitore, al Festival del Cinema di Berlino nel 2013, del Gran premio della giuria, nonché dell'Orso d'Argento assegnato a Nazif Mujić, il protagonista maschile del film.
Film d'apertura della venticinquesima edizione del Trieste Film Festival, il lungometraggio di Tanović - in lizza nella prima short list di nove pellicole per la nomination all'Oscar quale miglior film straniero - ripercorre passo per passo l'accaduto, descrivendo con cura e attenzione non solamente l' Episodio centrale, ma l'ambiente in cui vivono i protagonisti della vicenda che, nel film, interpretano se stessi.
Senada e Nazif sono marito e moglie e vivono, insieme alle due figlie, Šemsa e Sandra, in un piccolo appartamento in un paesetto della provincia di Tuzla. Senada si occupa delle bambine, pulisce la casa, lava i panni nella vasca, prepara la "pita" al formaggio, mette la legna, raccolta e tagliata da Nazif, nello "spaghert"; della cucina per riscaldare la casa, per cucinare, per riscaldare l'acqua.
La famiglia vive (o sarebbe meglio dire sopravvive) grazie a Nazif, il cui "lavoro" consiste nel raccattare ferro dalle discariche a cielo aperto o da automobili destinate alla rottamazione e venderlo nei centri di raccolta.
Il tran tran quotidiano viene bruscamente interrotto dal malore di Senada e dalle ingiustizie e umiliazioni che la donna è costretta a subire quando entra nella struttura sanitaria che dovrebbe assisterla ma che le nega l'assistenza perché priva di assicurazione e del denaro necessario per sottoporsi all'intervento. Solo facendosi prestare la tessera sanitaria dalla cognata, che vive in un'altra città, e spacciandosi per la cognata stessa nell'ospedale del luogo, Senada riuscirà finalmente a farsi operare e, con ciò, ad aver salva la vita.
Ho dimenticato di dire che la famiglia Mujić è Rom? No, non l'ho dimenticato, ho preferito semplicemente aggiungere questa informazione dopo aver raccontato i fatti, in modo da permettere al lettore di immedesimarsi in questa tragica vicenda, senza farsi condizionare da eventuali pregiudizi che, ahimè, non permettono, anche se in buona fede, di approcciarsi in modo obiettivo alla realtà.
Una realtà che ho potuto, seppur in piccola parte, vedere con i miei occhi durante il periodo trascorso qualche mese fa a Sarajevo, dove ho conosciuto alcuni raccoglitori di ferro e/o loro familiari, come Mira, che vive a Gorica (il quartiere dei Rom, quello in cui Emir Kusturica andava a scuola), che prima della guerra faceva la pulitrice mentre adesso è senza lavoro. Il marito, carrozziere ai tempi della Jugoslavija, ora è costretto a raccogliere e vendere ferro per portare qualche soldo alla famiglia. Niente sussidi, niente pensioni, solo il contributo per la nipotina, che in luglio ha compiuto tre anni.
E come non parlare di una bellissima donna come Almedina che, quando sono andata a trovarla, mi è venuta a prendere alla stazione degli autobus e mi ha offerto “pita”, caffè e anguria. Almedina che, insieme al marito, ogni santo giorno prende l'autobus per andare a Sarajevo e dintorni a rovistare in mezzo ai cassonetti delle immondizie, in cerca di tutto ciò che può essere rivenduto. "Ho paura delle infezioni, delle malattie, non tanto per me ma per i miei figli" mi ha detto quando le ho chiesto cosa prova, come si sente quando "lavora". Il marito, che ha lavorato dieci anni in Germania, si rimprovera ripetutamente di aver deciso di rientrare in Bosnia da dove non può uscire perché non dispone del denaro sufficiente.
Ma Almedina e Mira sono fortunate perché hanno una bella casa che curano come un gioiello. Almedina ha anche i genitori che ogni tanto le danno una mano. Non lo stesso discorso vale invece per una coppia di profughi dal Kosovo che vivono senza acqua e senza riscaldamento insieme a tre figli in un tugurio con i buchi nel pavimento, sotto il ricatto costante dei "capò" di turno e della “burocrazia dell'immigrazione”. Con un carrello della spesa percorrono ogni giorno chilometri e chilometri a Sarajevo e fuori, alla ricerca di quel preziosissimo ferro che, come mi spiega il capofamiglia, viene pagato 1 marco bosniaco (50 centesimi di euro) per 10 kg.
E che dire infine di quella giovane donna che, nei pressi della stazione delle corriere di Vogošća, ho visto un giorno immersa nel bidone della spazzatura alla ricerca di qualcosa da poter riciclare, mentre il figlio più grande domandava la carità e il figlio neonato riposava fra le braccia del padre? Credo che qualsiasi parola in più sarebbe superflua.
Certo, la Bosnia Erzegovina è molto più di questo: è un paese straordinario dove, chi ci è stato, non può non provare il desiderio di tornarci una, dieci, cento volte. Ma la Bosnia Erzegovina è anche questo, un paese molto povero, come ben racconta il film di Tanović, già autore di "No man's land" che vinse il Premio Oscar nel 2002 come miglior film straniero.
Per dovere di cronaca e spinta da curiosità personale ho cercato notizie riguardo alla famiglia protagonista del film sui giornali on-line bosniaci. In sintesi, dopo aver conseguito l'Orso d'argento quale miglior attore al Festival di Berlino nel 2013, Nazif Mujić è stato assunto nel complesso del “Lago Pannonico” di Tuzla in veste di animatore turistico. Dopo breve tempo, però, l'uomo ha rinunciato all'incarico perché lo stipendio (650 KM), stando a quanto dichiarato da egli stesso alla stampa, copriva a malapena le spese di vitto e trasporto e non gli garantiva un'assicurazione sanitaria adeguata. Ha quindi accettato l'impiego di operatore ecologico presso i parchi della città di Lukavac con uno stipendio di circa 1000 KM al mese, sufficienti anche a coprire le spese sanitarie. Tuttavia, riporta il giornale klix.ba, il 4 dicembre scorso Mujić è stato licenziato per assenteismo dal Comune di Lukavac. L'uomo, insieme con il resto della famiglia – notizia del 24 gennaio riportata da 24sata.info – si trova adesso in Germania, dove vive da circa due mesi e dove ha presentato richiesta di asilo politico. La richiesta è stata respinta in quanto – questa la motivazione – “la povertà non costituisce motivo sufficiente per ottenere un permesso di soggiorno”. La famiglia Mujić dovrà quindi lasciare la Germania entro il 9 marzo di quest'anno.
Dei raccoglitori di ferro e della comunità Rom ho parlato estesamente in altri post del blog, raccolti qui.
NOTA per i viaggiatori italiani: solo in alcuni specifici casi gli accordi governativi in essere coprono le spese sanitarie nel caso di un viaggio nella terra di Andrić e di Selimović. Il Ministero della Salute suggerisce, in tutti gli altri casi, di procurarsi un'assicurazione privata poiché nemmeno il pronto soccorso rientra in convenzione.