per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate".
Così Dante Alighieri apre il III Canto dell'Inferno, e mi domando in tutta onestà: "Se Dante avesse conosciuto gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, avrebbe davvero usato le espressioni divina potestate, somma sapienza, primo amore? Avrebbe potuto chiudere la sua "Commedia" con un atto intitolato "Paradiso?" Non lo so, ma dopo aver visto lo spettacolo "Pitbull", scritto e diretto da Monica Franzoni, e interpretato da alcuni dei centoquarantadue internati dell'O.P.G. di Reggio Emilia, il dubbio si insinua prepotente fino ad assumere le sembianze di quel giovane, ripreso ad Aversa da Fabrizio Lazzaretti nel 2001 in "Socialmente pericolosi", che se ne stava rannicchiato sotto le lenzuola, isolato da tutti e da tutto: "cava gli occhi alla gente", si diceva. Era un fotografo, quel ragazzo, prima di finire all'OPG, per un motivo che potrebbe sembrare ridicolo, se non avesse avuto risvolti così tragici: aveva rubato una Ottocentocinquanta e ci aveva fatto duecento metri. Poi, a suon di proroghe, era diventata un'anima persa, come tutte quelle migliaia di esseri umani condannati all'inferno, non dalla giustizia divina, ma dal totalitario binomio magistratura-psichiatria di cui già Michel Foucault parlò ampiamente negli anni '70, nel corso delle lezioni tenute al College de France (vedere a riguardo "Il potere psichiatrico" oppure "Gli anormali", entrambi editi da Feltrinelli).
Un binomio che dispone l'internamento in quelli che un tempo erano definiti manicomi criminali, ma che ora, con le vocali chiuse e la erre moscia, chiamiamo "ospedali psichiatrici giudiziari", di persone che hanno commesso reati, ma prosciolte per infermità mentale, ritenute socialmente pericolose; persone sottoposte a misure di sicurezza provvisoria; detenuti carcerari definiti minorati psichici; imputati in custodia preventiva in attesa di perizia psichiatrica; condannati al carcere, con sopravvenuta infermità mentale.
Chi ha commesso un reato deve essere punito dalla legge, questo è indiscutibile a chiunque, a partire dagli stessi attori dell'O.P.G. di Reggio Emilia, che si sono esibiti giovedì e venerdì scorsi, rispettivamente al Kulturni Dom Skala di Gropada e al Teatro dei Fabbri di Trieste. Ma la pena, dice la Legge, dev'essere commisurata al reato e prevede dei termini (cioè una fine), mentre negli O.P.G. si assiste tristemente ad una penosa violazione dei diritti dell'uomo, che consiste in proroghe infinite della misura di sicurezza, che vanno ben oltre i termini dell'equivalente di pena da scontarsi in carcere, fenomeno che viene correntemente definito "ergastolo bianco".
Ad aggravare ulteriormente la situazione interviene il fatto che gli O.P.G. sono strutture in cui la persona affetta da malattia psichica spesso non viene curata, come avrebbe diritto in base alla Costituzione italiana, ma semplicemente sedata con bombe farmacologiche e/o contenuta attraverso letti o altre misure di contenzione fisica, fra cui non va dimenticato l'essere sepolti vivi in una cella, ventidue ore al giorno, come mi racconta Centauro, uno degli attori di Reggio Emilia che, insieme a Fenice, Pegaso, Orione, Andromeda, Antares, hanno raccontato al pubblico triestino ciò che accade regolarmente a chi, come loro, "ha problemi e non sta bene", ha commesso un reato e viene internato in un manicomio criminale.
Ma lo spettacolo Pitbull, scritto da Monica Franzoni, con il contributo di Riccardo Paternini, e diretto dalla stessa Franzoni, racconta molto di più e lo fa attraverso la metafora del Pitbull, cane di per sé mansueto che, però, viene trasformato in bestia feroce quando ha la sfortuna di cadere in mano ad "addestratori" disumani che lo sottopongono a sevizie di ogni genere per farlo combattere con altri cani, al solo fine di arricchirsi a sue spese. E' evidente che c'è solo un modo per far tornare il pitbull ad essere quell'animale pacifico che è di natura: sottrarlo a quella violenza che lo ha accompagnato fin da quando era un cucciolo.
La Franzoni non poteva trovare metafora migliore per descrivere la società in cui viviamo, che genera costantemente violenza, che poi fa finta di stupirsi di tale violenza, reagisce attraverso l'internamento dei suoi frutti malati e aspetta semplicemente che soccombano, contenendo con la violenza (fisica, psicologica, farmacologica) quel minimo di vita che ancora li anima.
Uno spettacolo, Pitbull, che va metabolizzato con calma perché noi, quelli "normali", "sani", "incensurati" o come meglio preferiamo definirci non abbiamo la più pallida idea di ciò che accade agli "anormali", "malati", "criminali" quando la loro vita, tragica di per sé, si trasforma in un inferno, a partire dal momento in cui vengono arrestati.
Inizialmente pensavo di scrivere qui le storie, anche di persone più sfortunate di loro, che Centauro, Fenice, Pegaso, Orione, Andromeda, Antares mi hanno raccontato. Ma non lo farò, perché non ne ho nessun diritto. Questo diritto spetta solo a loro, attraverso i loro spettacoli, frutto del Laboratorio teatrale, creato nel 1999 e portato avanti fino ad oggi da Monica Franzoni con tenacia e convinzione, in mezzo a mille difficoltà di ogni genere.
La mia speranza è che il Laboratorio continui la sua attività, ma fuori dalle gabbie dei Pitbull, in contesti in cui le persone malate, che hanno commesso dei reati, possano essere adeguatamente curate. Un auspicio che, a dire il vero, sembra molto più un'utopia dato che la causa di tutto questo male, la violenza della società soprattutto nei confronti dei più deboli, non sembra avere fine, come non sembra avere fine il sadico binomio tra psichiatria e magistratura. Ma questo è un altro argomento.
L'appuntamento, come molti sanno, è fissato per il 31 marzo 2015, quando dovrebbe realizzarsi quel "superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari" di cui parla la legge "81/2014". Dopo questa data mi aspetto e pretendo che Centauro, Fenice, Pegaso, Orione, Andromeda, Antares corrispondano solamente ad alcune stelle e costellazioni dell'Universo, non più a sei reparti di un manicomio.
Un binomio che dispone l'internamento in quelli che un tempo erano definiti manicomi criminali, ma che ora, con le vocali chiuse e la erre moscia, chiamiamo "ospedali psichiatrici giudiziari", di persone che hanno commesso reati, ma prosciolte per infermità mentale, ritenute socialmente pericolose; persone sottoposte a misure di sicurezza provvisoria; detenuti carcerari definiti minorati psichici; imputati in custodia preventiva in attesa di perizia psichiatrica; condannati al carcere, con sopravvenuta infermità mentale.
Chi ha commesso un reato deve essere punito dalla legge, questo è indiscutibile a chiunque, a partire dagli stessi attori dell'O.P.G. di Reggio Emilia, che si sono esibiti giovedì e venerdì scorsi, rispettivamente al Kulturni Dom Skala di Gropada e al Teatro dei Fabbri di Trieste. Ma la pena, dice la Legge, dev'essere commisurata al reato e prevede dei termini (cioè una fine), mentre negli O.P.G. si assiste tristemente ad una penosa violazione dei diritti dell'uomo, che consiste in proroghe infinite della misura di sicurezza, che vanno ben oltre i termini dell'equivalente di pena da scontarsi in carcere, fenomeno che viene correntemente definito "ergastolo bianco".
Ad aggravare ulteriormente la situazione interviene il fatto che gli O.P.G. sono strutture in cui la persona affetta da malattia psichica spesso non viene curata, come avrebbe diritto in base alla Costituzione italiana, ma semplicemente sedata con bombe farmacologiche e/o contenuta attraverso letti o altre misure di contenzione fisica, fra cui non va dimenticato l'essere sepolti vivi in una cella, ventidue ore al giorno, come mi racconta Centauro, uno degli attori di Reggio Emilia che, insieme a Fenice, Pegaso, Orione, Andromeda, Antares, hanno raccontato al pubblico triestino ciò che accade regolarmente a chi, come loro, "ha problemi e non sta bene", ha commesso un reato e viene internato in un manicomio criminale.
Ma lo spettacolo Pitbull, scritto da Monica Franzoni, con il contributo di Riccardo Paternini, e diretto dalla stessa Franzoni, racconta molto di più e lo fa attraverso la metafora del Pitbull, cane di per sé mansueto che, però, viene trasformato in bestia feroce quando ha la sfortuna di cadere in mano ad "addestratori" disumani che lo sottopongono a sevizie di ogni genere per farlo combattere con altri cani, al solo fine di arricchirsi a sue spese. E' evidente che c'è solo un modo per far tornare il pitbull ad essere quell'animale pacifico che è di natura: sottrarlo a quella violenza che lo ha accompagnato fin da quando era un cucciolo.
La Franzoni non poteva trovare metafora migliore per descrivere la società in cui viviamo, che genera costantemente violenza, che poi fa finta di stupirsi di tale violenza, reagisce attraverso l'internamento dei suoi frutti malati e aspetta semplicemente che soccombano, contenendo con la violenza (fisica, psicologica, farmacologica) quel minimo di vita che ancora li anima.
Uno spettacolo, Pitbull, che va metabolizzato con calma perché noi, quelli "normali", "sani", "incensurati" o come meglio preferiamo definirci non abbiamo la più pallida idea di ciò che accade agli "anormali", "malati", "criminali" quando la loro vita, tragica di per sé, si trasforma in un inferno, a partire dal momento in cui vengono arrestati.
Inizialmente pensavo di scrivere qui le storie, anche di persone più sfortunate di loro, che Centauro, Fenice, Pegaso, Orione, Andromeda, Antares mi hanno raccontato. Ma non lo farò, perché non ne ho nessun diritto. Questo diritto spetta solo a loro, attraverso i loro spettacoli, frutto del Laboratorio teatrale, creato nel 1999 e portato avanti fino ad oggi da Monica Franzoni con tenacia e convinzione, in mezzo a mille difficoltà di ogni genere.
La mia speranza è che il Laboratorio continui la sua attività, ma fuori dalle gabbie dei Pitbull, in contesti in cui le persone malate, che hanno commesso dei reati, possano essere adeguatamente curate. Un auspicio che, a dire il vero, sembra molto più un'utopia dato che la causa di tutto questo male, la violenza della società soprattutto nei confronti dei più deboli, non sembra avere fine, come non sembra avere fine il sadico binomio tra psichiatria e magistratura. Ma questo è un altro argomento.
L'appuntamento, come molti sanno, è fissato per il 31 marzo 2015, quando dovrebbe realizzarsi quel "superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari" di cui parla la legge "81/2014". Dopo questa data mi aspetto e pretendo che Centauro, Fenice, Pegaso, Orione, Andromeda, Antares corrispondano solamente ad alcune stelle e costellazioni dell'Universo, non più a sei reparti di un manicomio.
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