Ritratti di uomini,
che implorano speranza,
feriti dalla guerra
o da una vita difficile.
Ritratti di giovani,
profughi in esilio,
persi nell'amore
o in altri misteri.
Ritratti di vecchi,
poveri cristi
incappucciati nella perdita,
loro gioventù.
Ritratti di attori,
dal pensiero stravagante,
con lo sguardo scoperto
o perduto nel vento.
Ritratti di artisti,
fotografi e circensi,
suonatori anziani
di banjo scordato.
Ritratti di padri
di figli bellissimi,
mariti sorridenti,
ritratti di uomini.
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venerdì 27 marzo 2015
lunedì 23 marzo 2015
Stravaganza, di Dacia Maraini
Definire "Stravaganza" un semplice spettacolo teatrale sarebbe riduttivo. La pièce che l'Accademia della Follia porterà in scena a Cattaro (Montenegro) il 24 marzo e, successivamente, a Roma e Barcellona, è infatti molto di più: un tuffo nel delirio più totale, quello dei personaggi che animano la commedia, ma soprattutto quello del sistema psichiatrico-manicomiale, strumento di potere finalizzato a isolare e reprimere, attraverso la coercizione, ogni forma di "pensiero stravagante", che possa costituire un pericolo reale o potenziale per la società.
Scritta da Dacia Maraini e diretta da Claudio Misculin, la commedia è ambientata in un manicomio dove, per "liquidare" ogni "stravaganza", vale a dire ogni forma di espressione individuale ritenuta anormale, gli internati sono sottoposti a quella che senza esitazione si può definire tortura legalizzata e che consiste in varie misure di contenzione fisica, farmacologica e psicologica: elettroshock e letti di contenzione, iniezioni di neurolettici, minacce di vario genere.
In seguito all'approvazione della legge 180 gli internati vengono rimandati a casa, con problemi ancora maggiori, di quanti ne avessero prima e generati dal manicomio stesso. Ad accoglierli, una società che nel frattempo non ha cambiato le regole del gioco e che, di conseguenza, li rifiuta nuovamente. Si ritrovano quindi nell'ex manicomio e decidono di fondare una comune in cui vivere a modo loro, liberamente, senza contenzioni di sorta.
Un finale, col senno di poi, dal vago sapore utopico e dal gusto amaro, per una commedia che è di assoluta attualità, data l'imminenza del "superamento" dei residui più appariscenti e aberranti del sistema psichiatrico-manicomiale, gli ospedali psichiatrici giudiziari, previsto dalla legge 81/2014.
Utopico perché il sogno di libertà di espressione è stato abortito per l'ennesima volta e a subirne le conseguenze, oggi, non è solo la follia, "il pensiero stravagante": chi si spinge oltre al consentito, viene messo regolarmente a tacere; nel migliore dei casi attraverso quella "macchina del fango" così ben descritta da Roberto Saviano, nel peggiore dei casi al prezzo della vita, come nel caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio vent'anni fa.
Amaro perché dietro al ritorno nell'ex-manicomio e alla successiva decisione dei protagonisti di “vivere insieme in un un appartamento, con un progetto comune” si cela la vittoria assoluta dell'autoritarismo meccanicistico insito nella società moderna che, come insegna "Sorvegliare e punire" (M. Foucault), non ha più bisogno della spada per tenere a bada gli "anormali", ma si avvale di meccanismi di controllo apparentemente meno violenti, ma sostanzialmente più invasivi. Nel caso specifico di "Stravaganza" tali meccanismi si traducono nell'introiezione dell'idea di esclusione negli esclusi stessi che nell'atto finale, non solo non si ribellano, come ci si potrebbe aspettare, ma giungono perfino ad esultare dopo aver "coercitivamente" deciso di fare buon viso a cattivo gioco, accettando la loro esclusione dalla società.
Regia: Claudio Misculin
Cast, in ordine alfabetico:
Daniela Candelli: Elvira
Maria Cristina Della Pietra: Marina
Beppe Denti: Gegé
Giuseppe Feminiano: il padre di Elvira
David Gonzalez: Alcide
Dario Kuzma: Peres
Claudio Misculin: Attilio
Giuliana Zidarič Meola: Ada
Scritta da Dacia Maraini e diretta da Claudio Misculin, la commedia è ambientata in un manicomio dove, per "liquidare" ogni "stravaganza", vale a dire ogni forma di espressione individuale ritenuta anormale, gli internati sono sottoposti a quella che senza esitazione si può definire tortura legalizzata e che consiste in varie misure di contenzione fisica, farmacologica e psicologica: elettroshock e letti di contenzione, iniezioni di neurolettici, minacce di vario genere.
In seguito all'approvazione della legge 180 gli internati vengono rimandati a casa, con problemi ancora maggiori, di quanti ne avessero prima e generati dal manicomio stesso. Ad accoglierli, una società che nel frattempo non ha cambiato le regole del gioco e che, di conseguenza, li rifiuta nuovamente. Si ritrovano quindi nell'ex manicomio e decidono di fondare una comune in cui vivere a modo loro, liberamente, senza contenzioni di sorta.
Un finale, col senno di poi, dal vago sapore utopico e dal gusto amaro, per una commedia che è di assoluta attualità, data l'imminenza del "superamento" dei residui più appariscenti e aberranti del sistema psichiatrico-manicomiale, gli ospedali psichiatrici giudiziari, previsto dalla legge 81/2014.
Utopico perché il sogno di libertà di espressione è stato abortito per l'ennesima volta e a subirne le conseguenze, oggi, non è solo la follia, "il pensiero stravagante": chi si spinge oltre al consentito, viene messo regolarmente a tacere; nel migliore dei casi attraverso quella "macchina del fango" così ben descritta da Roberto Saviano, nel peggiore dei casi al prezzo della vita, come nel caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio vent'anni fa.
Amaro perché dietro al ritorno nell'ex-manicomio e alla successiva decisione dei protagonisti di “vivere insieme in un un appartamento, con un progetto comune” si cela la vittoria assoluta dell'autoritarismo meccanicistico insito nella società moderna che, come insegna "Sorvegliare e punire" (M. Foucault), non ha più bisogno della spada per tenere a bada gli "anormali", ma si avvale di meccanismi di controllo apparentemente meno violenti, ma sostanzialmente più invasivi. Nel caso specifico di "Stravaganza" tali meccanismi si traducono nell'introiezione dell'idea di esclusione negli esclusi stessi che nell'atto finale, non solo non si ribellano, come ci si potrebbe aspettare, ma giungono perfino ad esultare dopo aver "coercitivamente" deciso di fare buon viso a cattivo gioco, accettando la loro esclusione dalla società.
Scheda dello spettacolo
Sceneggiatura: Dacia MarainiRegia: Claudio Misculin
Cast, in ordine alfabetico:
Daniela Candelli: Elvira
Maria Cristina Della Pietra: Marina
Beppe Denti: Gegé
Giuseppe Feminiano: il padre di Elvira
David Gonzalez: Alcide
Dario Kuzma: Peres
Claudio Misculin: Attilio
Giuliana Zidarič Meola: Ada
Ada |
Stravaganza |
Gegé, l'amante del padre di Elvira |
Il padre di Elvira balla il tango con Gegé |
Il ballo di Alcide ed Elvira |
Tacchi a spillo sulla testa di Alcide |
Alcide rannicchiato sotto al tavolo |
Peres, disteso fra le gambe di una sedia |
Elvira |
Alcide e Ada |
Marina, la moglie di Peres |
Attilio |
Stanchezze |
Alcide nuota |
Ada accudisce la madre morta |
Ciò che resta del sogno |
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Legge 180,
Legge 81/2014,
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Michel Foucault,
Theatre
Ubicazione:
Trieste, Italia
lunedì 16 marzo 2015
Lasciate ogni speranza, voi che entrate in O.P.G.
"Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate".
E' fatto divieto assoluto di scaricare, manipolare, copiare, incollare e stampare (print screen incluso) le immagini sopra riportate. E' fatto altresì divieto di copiare pezzi e/o l'articolo intero senza l'esplicito consenso dell'autrice.
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate".
Così Dante Alighieri apre il III Canto dell'Inferno, e mi domando in tutta onestà: "Se Dante avesse conosciuto gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, avrebbe davvero usato le espressioni divina potestate, somma sapienza, primo amore? Avrebbe potuto chiudere la sua "Commedia" con un atto intitolato "Paradiso?" Non lo so, ma dopo aver visto lo spettacolo "Pitbull", scritto e diretto da Monica Franzoni, e interpretato da alcuni dei centoquarantadue internati dell'O.P.G. di Reggio Emilia, il dubbio si insinua prepotente fino ad assumere le sembianze di quel giovane, ripreso ad Aversa da Fabrizio Lazzaretti nel 2001 in "Socialmente pericolosi", che se ne stava rannicchiato sotto le lenzuola, isolato da tutti e da tutto: "cava gli occhi alla gente", si diceva. Era un fotografo, quel ragazzo, prima di finire all'OPG, per un motivo che potrebbe sembrare ridicolo, se non avesse avuto risvolti così tragici: aveva rubato una Ottocentocinquanta e ci aveva fatto duecento metri. Poi, a suon di proroghe, era diventata un'anima persa, come tutte quelle migliaia di esseri umani condannati all'inferno, non dalla giustizia divina, ma dal totalitario binomio magistratura-psichiatria di cui già Michel Foucault parlò ampiamente negli anni '70, nel corso delle lezioni tenute al College de France (vedere a riguardo "Il potere psichiatrico" oppure "Gli anormali", entrambi editi da Feltrinelli).
Un binomio che dispone l'internamento in quelli che un tempo erano definiti manicomi criminali, ma che ora, con le vocali chiuse e la erre moscia, chiamiamo "ospedali psichiatrici giudiziari", di persone che hanno commesso reati, ma prosciolte per infermità mentale, ritenute socialmente pericolose; persone sottoposte a misure di sicurezza provvisoria; detenuti carcerari definiti minorati psichici; imputati in custodia preventiva in attesa di perizia psichiatrica; condannati al carcere, con sopravvenuta infermità mentale.
Chi ha commesso un reato deve essere punito dalla legge, questo è indiscutibile a chiunque, a partire dagli stessi attori dell'O.P.G. di Reggio Emilia, che si sono esibiti giovedì e venerdì scorsi, rispettivamente al Kulturni Dom Skala di Gropada e al Teatro dei Fabbri di Trieste. Ma la pena, dice la Legge, dev'essere commisurata al reato e prevede dei termini (cioè una fine), mentre negli O.P.G. si assiste tristemente ad una penosa violazione dei diritti dell'uomo, che consiste in proroghe infinite della misura di sicurezza, che vanno ben oltre i termini dell'equivalente di pena da scontarsi in carcere, fenomeno che viene correntemente definito "ergastolo bianco".
Ad aggravare ulteriormente la situazione interviene il fatto che gli O.P.G. sono strutture in cui la persona affetta da malattia psichica spesso non viene curata, come avrebbe diritto in base alla Costituzione italiana, ma semplicemente sedata con bombe farmacologiche e/o contenuta attraverso letti o altre misure di contenzione fisica, fra cui non va dimenticato l'essere sepolti vivi in una cella, ventidue ore al giorno, come mi racconta Centauro, uno degli attori di Reggio Emilia che, insieme a Fenice, Pegaso, Orione, Andromeda, Antares, hanno raccontato al pubblico triestino ciò che accade regolarmente a chi, come loro, "ha problemi e non sta bene", ha commesso un reato e viene internato in un manicomio criminale.
Ma lo spettacolo Pitbull, scritto da Monica Franzoni, con il contributo di Riccardo Paternini, e diretto dalla stessa Franzoni, racconta molto di più e lo fa attraverso la metafora del Pitbull, cane di per sé mansueto che, però, viene trasformato in bestia feroce quando ha la sfortuna di cadere in mano ad "addestratori" disumani che lo sottopongono a sevizie di ogni genere per farlo combattere con altri cani, al solo fine di arricchirsi a sue spese. E' evidente che c'è solo un modo per far tornare il pitbull ad essere quell'animale pacifico che è di natura: sottrarlo a quella violenza che lo ha accompagnato fin da quando era un cucciolo.
La Franzoni non poteva trovare metafora migliore per descrivere la società in cui viviamo, che genera costantemente violenza, che poi fa finta di stupirsi di tale violenza, reagisce attraverso l'internamento dei suoi frutti malati e aspetta semplicemente che soccombano, contenendo con la violenza (fisica, psicologica, farmacologica) quel minimo di vita che ancora li anima.
Uno spettacolo, Pitbull, che va metabolizzato con calma perché noi, quelli "normali", "sani", "incensurati" o come meglio preferiamo definirci non abbiamo la più pallida idea di ciò che accade agli "anormali", "malati", "criminali" quando la loro vita, tragica di per sé, si trasforma in un inferno, a partire dal momento in cui vengono arrestati.
Inizialmente pensavo di scrivere qui le storie, anche di persone più sfortunate di loro, che Centauro, Fenice, Pegaso, Orione, Andromeda, Antares mi hanno raccontato. Ma non lo farò, perché non ne ho nessun diritto. Questo diritto spetta solo a loro, attraverso i loro spettacoli, frutto del Laboratorio teatrale, creato nel 1999 e portato avanti fino ad oggi da Monica Franzoni con tenacia e convinzione, in mezzo a mille difficoltà di ogni genere.
La mia speranza è che il Laboratorio continui la sua attività, ma fuori dalle gabbie dei Pitbull, in contesti in cui le persone malate, che hanno commesso dei reati, possano essere adeguatamente curate. Un auspicio che, a dire il vero, sembra molto più un'utopia dato che la causa di tutto questo male, la violenza della società soprattutto nei confronti dei più deboli, non sembra avere fine, come non sembra avere fine il sadico binomio tra psichiatria e magistratura. Ma questo è un altro argomento.
L'appuntamento, come molti sanno, è fissato per il 31 marzo 2015, quando dovrebbe realizzarsi quel "superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari" di cui parla la legge "81/2014". Dopo questa data mi aspetto e pretendo che Centauro, Fenice, Pegaso, Orione, Andromeda, Antares corrispondano solamente ad alcune stelle e costellazioni dell'Universo, non più a sei reparti di un manicomio.
Un binomio che dispone l'internamento in quelli che un tempo erano definiti manicomi criminali, ma che ora, con le vocali chiuse e la erre moscia, chiamiamo "ospedali psichiatrici giudiziari", di persone che hanno commesso reati, ma prosciolte per infermità mentale, ritenute socialmente pericolose; persone sottoposte a misure di sicurezza provvisoria; detenuti carcerari definiti minorati psichici; imputati in custodia preventiva in attesa di perizia psichiatrica; condannati al carcere, con sopravvenuta infermità mentale.
Chi ha commesso un reato deve essere punito dalla legge, questo è indiscutibile a chiunque, a partire dagli stessi attori dell'O.P.G. di Reggio Emilia, che si sono esibiti giovedì e venerdì scorsi, rispettivamente al Kulturni Dom Skala di Gropada e al Teatro dei Fabbri di Trieste. Ma la pena, dice la Legge, dev'essere commisurata al reato e prevede dei termini (cioè una fine), mentre negli O.P.G. si assiste tristemente ad una penosa violazione dei diritti dell'uomo, che consiste in proroghe infinite della misura di sicurezza, che vanno ben oltre i termini dell'equivalente di pena da scontarsi in carcere, fenomeno che viene correntemente definito "ergastolo bianco".
Ad aggravare ulteriormente la situazione interviene il fatto che gli O.P.G. sono strutture in cui la persona affetta da malattia psichica spesso non viene curata, come avrebbe diritto in base alla Costituzione italiana, ma semplicemente sedata con bombe farmacologiche e/o contenuta attraverso letti o altre misure di contenzione fisica, fra cui non va dimenticato l'essere sepolti vivi in una cella, ventidue ore al giorno, come mi racconta Centauro, uno degli attori di Reggio Emilia che, insieme a Fenice, Pegaso, Orione, Andromeda, Antares, hanno raccontato al pubblico triestino ciò che accade regolarmente a chi, come loro, "ha problemi e non sta bene", ha commesso un reato e viene internato in un manicomio criminale.
Ma lo spettacolo Pitbull, scritto da Monica Franzoni, con il contributo di Riccardo Paternini, e diretto dalla stessa Franzoni, racconta molto di più e lo fa attraverso la metafora del Pitbull, cane di per sé mansueto che, però, viene trasformato in bestia feroce quando ha la sfortuna di cadere in mano ad "addestratori" disumani che lo sottopongono a sevizie di ogni genere per farlo combattere con altri cani, al solo fine di arricchirsi a sue spese. E' evidente che c'è solo un modo per far tornare il pitbull ad essere quell'animale pacifico che è di natura: sottrarlo a quella violenza che lo ha accompagnato fin da quando era un cucciolo.
La Franzoni non poteva trovare metafora migliore per descrivere la società in cui viviamo, che genera costantemente violenza, che poi fa finta di stupirsi di tale violenza, reagisce attraverso l'internamento dei suoi frutti malati e aspetta semplicemente che soccombano, contenendo con la violenza (fisica, psicologica, farmacologica) quel minimo di vita che ancora li anima.
Uno spettacolo, Pitbull, che va metabolizzato con calma perché noi, quelli "normali", "sani", "incensurati" o come meglio preferiamo definirci non abbiamo la più pallida idea di ciò che accade agli "anormali", "malati", "criminali" quando la loro vita, tragica di per sé, si trasforma in un inferno, a partire dal momento in cui vengono arrestati.
Inizialmente pensavo di scrivere qui le storie, anche di persone più sfortunate di loro, che Centauro, Fenice, Pegaso, Orione, Andromeda, Antares mi hanno raccontato. Ma non lo farò, perché non ne ho nessun diritto. Questo diritto spetta solo a loro, attraverso i loro spettacoli, frutto del Laboratorio teatrale, creato nel 1999 e portato avanti fino ad oggi da Monica Franzoni con tenacia e convinzione, in mezzo a mille difficoltà di ogni genere.
La mia speranza è che il Laboratorio continui la sua attività, ma fuori dalle gabbie dei Pitbull, in contesti in cui le persone malate, che hanno commesso dei reati, possano essere adeguatamente curate. Un auspicio che, a dire il vero, sembra molto più un'utopia dato che la causa di tutto questo male, la violenza della società soprattutto nei confronti dei più deboli, non sembra avere fine, come non sembra avere fine il sadico binomio tra psichiatria e magistratura. Ma questo è un altro argomento.
L'appuntamento, come molti sanno, è fissato per il 31 marzo 2015, quando dovrebbe realizzarsi quel "superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari" di cui parla la legge "81/2014". Dopo questa data mi aspetto e pretendo che Centauro, Fenice, Pegaso, Orione, Andromeda, Antares corrispondano solamente ad alcune stelle e costellazioni dell'Universo, non più a sei reparti di un manicomio.
E' fatto divieto assoluto di scaricare, manipolare, copiare, incollare e stampare (print screen incluso) le immagini sopra riportate. E' fatto altresì divieto di copiare pezzi e/o l'articolo intero senza l'esplicito consenso dell'autrice.
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Ubicazione:
Trieste, Italia
domenica 15 marzo 2015
Petizione a favore del teatro "La Contrada"
In uno Stato che spende trentacinque mila euro per un'ora di volo di un cacciabombardiere Tornado, sessantadue milioni a chilometro per l'alta velocità, miliardi (sapremo mai la cifra esatta?) di euro per un expo in cui lavoreranno gratis migliaia di persone; in uno Stato che ha creato e finanziato corsi di laurea il cui solo titolo potrebbe scatenare l'ilarità di molti (vi bastino "Scienze dell'Allevamento, Igiene e Benessere del Cane e del Gatto", "Tropical rural development", "Verde ornamentale e tutela del paesaggio"); in uno Stato che si può permettere il lusso di finanziare scuole private, cliniche convenzionate, corsi di formazione più o meno inutili (ma obbligatori per entrare in una delle varie corporazioni esistenti); in uno Stato infine che, udite udite, conta novantuno miliardi di evasione fiscale all'anno (dato riportato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze in data 1 ottobre 2014) è chiaro ed evidente che, per far dormire sonni tranquilli alle Madame dell'alta finanza, una sforbiciata qua e là bisogna darla.
E da dove si parte? Ma è cartesianamente evidente: dalla cosa più finanziariamente inutile che l'umana specie abbia mai inventato, la Cultura, incluso il Teatro, quel settore che al giorno d'oggi sembrerebbe ancora più inutile, anche come puro intrattenimento, dato che nelle Neo-Basiliche e neo-Fori dell'augusta capitale lo praticano signori, signore e signorine pagati un occhio della testa per recitare la loro parte, qualcuno a braccio, altri con il copione in mano, o con tanto di maschera, cori, scenografie in miniatura, applausi a comando e quant'altro necessario per incrementare voti, audience, celebrità eterea, a seconda dei casi.
Ho detto sembrerebbe o, per dirla con Pirandello "Così è (se vi pare)". A me però, guarda caso, non pare, perché ritengo che il Teatro sia una cosa seria e trovo fisicamente insopportabile e moralmente deprecabile che vengano tagliati fondi a gruppi che dopo mesi e mesi di dura preparazione e anni, prima, di studio, salgono su un palcoscenico per raccontare delle storie, trasmettere emozioni, comunicare dei messaggi, in poche parole intrattenere il pubblico in modo "intelligente", diversamente da certi signori, signore e signorine, protagonisti di produzioni pensate e dirette ad un pubblico di bradipi acefali, con tutto il rispetto per i bradipi.
Avendo seguito per due anni l'Accademia della follia ero perfettamente consapevole delle difficoltà economiche in cui versava non solo la compagnia di Misculin, ma anche altre piccole belle realtà che però, almeno a Trieste, non riescono a trovare piena espressione. Nella mia boscaiola ignoranza pensavo "Sarà perché del teatro dei matti, o di quello sperimentale non gliene frega niente a nessuno?" "Sarà perché non sono poi così bravi come penso?" "Sarà perché il livello culturale è ormai talmente basso che la gente preferisce i musical easy soft ai testi dei drammaturghi?" E' possibile, ma non sufficiente. A Trieste, infatti, la Cultura generalizzata del Teatro c'è sempre stata fin dai tempi degli antichi romani e continua ad esserci. E quanto accaduto di recente al Teatro Contrada dimostra proprio questo: la responsabilità non è (o non in massima parte) degli spettatori e delle compagnie, ma di quella massa solida vulcanica, chiamata "volontà politica" che, in teoria, dovrebbe esprimere la volontà dei più (la sovranità appartiene ancora al popolo, secondo la Costituzione, o no?) ma in realtà è appannaggio di pochi che, a partire soprattutto dagli anni '90, non sempre corrispondono ad esseri umani in carne ed ossa con residenza in territorio nazionale.
Come riportato da Fabio Dorigo su "Il Piccolo" del 7 marzo scorso, per il Ministero per i Beni e le attività culturali, la Contrada non costituisce né Teatro di rilevante interesse culturale (Tric), nè Centro di produzione, ed è perciò stata declassata a "Impresa di produzione teatrale o, in alternativa, a Organismo di programmazione: ovvero semplice compagnia teatrale che produce spettacoli (come se non avesse un’intera stagione del Teatro Bobbio da gestire) oppure mero contenitore di titoli in ospitalità (come se la Contrada non avesse nel suo dna la produzione di spettacoli teatrali: poco meno di 400 dal 1976 ad oggi)" (cit. da Il Piccolo, 7 marzo 2015). A rischio, prosegue Dorigo nel suo articolo, il contributo Fus (485mila nel 2014) e l’apporto degli enti locali.
Trovando vergognosa questa decisione da parte del Ministero, mi permetto di condividere la mail del co-direttore artistico del teatro Contrada, Matteo Oleotto, regista fra l'altro dello straordinario film "Zoran, il mio nipote scemo"
Carissimi amici,
Un’inaudita e vergognosa decisione del Ministero, vuole costringere il teatro la Contrada di Trieste a snaturare quasi 40 anni di produzione e oltre 30 anni di gestione delle stagioni di prosa mettendo, tra le altre cose, a rischio un centinaio di posti di lavoro.
Questa sentenza ministeriale, oltre ad attaccare pesantemente la Contrada con totale sprezzo per il suo lavoro e la sua storia, mira ad impoverire ulteriormente l’intera regione, sia da un punto di vista culturale che economico.
Ovviamente noi facciamo subito ricorso contro la decisione del Ministero, ma è importante in questo momento il supporto di tutti.
Per questo stiamo raccogliendo le firme di tutte le persone che vogliono sostenerci.
Se volete contribuire, questo è il link per la petizione online:
Grazie per tutto il sostegno e vi saremo grati se farete girare questa mail.
Matteo Oleotto
Co-direttore Artistico
La Contrada-Teatro Stabile di Trieste
Via del Ghirlandaio 12
34138 Trieste
E da dove si parte? Ma è cartesianamente evidente: dalla cosa più finanziariamente inutile che l'umana specie abbia mai inventato, la Cultura, incluso il Teatro, quel settore che al giorno d'oggi sembrerebbe ancora più inutile, anche come puro intrattenimento, dato che nelle Neo-Basiliche e neo-Fori dell'augusta capitale lo praticano signori, signore e signorine pagati un occhio della testa per recitare la loro parte, qualcuno a braccio, altri con il copione in mano, o con tanto di maschera, cori, scenografie in miniatura, applausi a comando e quant'altro necessario per incrementare voti, audience, celebrità eterea, a seconda dei casi.
Ho detto sembrerebbe o, per dirla con Pirandello "Così è (se vi pare)". A me però, guarda caso, non pare, perché ritengo che il Teatro sia una cosa seria e trovo fisicamente insopportabile e moralmente deprecabile che vengano tagliati fondi a gruppi che dopo mesi e mesi di dura preparazione e anni, prima, di studio, salgono su un palcoscenico per raccontare delle storie, trasmettere emozioni, comunicare dei messaggi, in poche parole intrattenere il pubblico in modo "intelligente", diversamente da certi signori, signore e signorine, protagonisti di produzioni pensate e dirette ad un pubblico di bradipi acefali, con tutto il rispetto per i bradipi.
Avendo seguito per due anni l'Accademia della follia ero perfettamente consapevole delle difficoltà economiche in cui versava non solo la compagnia di Misculin, ma anche altre piccole belle realtà che però, almeno a Trieste, non riescono a trovare piena espressione. Nella mia boscaiola ignoranza pensavo "Sarà perché del teatro dei matti, o di quello sperimentale non gliene frega niente a nessuno?" "Sarà perché non sono poi così bravi come penso?" "Sarà perché il livello culturale è ormai talmente basso che la gente preferisce i musical easy soft ai testi dei drammaturghi?" E' possibile, ma non sufficiente. A Trieste, infatti, la Cultura generalizzata del Teatro c'è sempre stata fin dai tempi degli antichi romani e continua ad esserci. E quanto accaduto di recente al Teatro Contrada dimostra proprio questo: la responsabilità non è (o non in massima parte) degli spettatori e delle compagnie, ma di quella massa solida vulcanica, chiamata "volontà politica" che, in teoria, dovrebbe esprimere la volontà dei più (la sovranità appartiene ancora al popolo, secondo la Costituzione, o no?) ma in realtà è appannaggio di pochi che, a partire soprattutto dagli anni '90, non sempre corrispondono ad esseri umani in carne ed ossa con residenza in territorio nazionale.
Come riportato da Fabio Dorigo su "Il Piccolo" del 7 marzo scorso, per il Ministero per i Beni e le attività culturali, la Contrada non costituisce né Teatro di rilevante interesse culturale (Tric), nè Centro di produzione, ed è perciò stata declassata a "Impresa di produzione teatrale o, in alternativa, a Organismo di programmazione: ovvero semplice compagnia teatrale che produce spettacoli (come se non avesse un’intera stagione del Teatro Bobbio da gestire) oppure mero contenitore di titoli in ospitalità (come se la Contrada non avesse nel suo dna la produzione di spettacoli teatrali: poco meno di 400 dal 1976 ad oggi)" (cit. da Il Piccolo, 7 marzo 2015). A rischio, prosegue Dorigo nel suo articolo, il contributo Fus (485mila nel 2014) e l’apporto degli enti locali.
Trovando vergognosa questa decisione da parte del Ministero, mi permetto di condividere la mail del co-direttore artistico del teatro Contrada, Matteo Oleotto, regista fra l'altro dello straordinario film "Zoran, il mio nipote scemo"
Carissimi amici,
Un’inaudita e vergognosa decisione del Ministero, vuole costringere il teatro la Contrada di Trieste a snaturare quasi 40 anni di produzione e oltre 30 anni di gestione delle stagioni di prosa mettendo, tra le altre cose, a rischio un centinaio di posti di lavoro.
Questa sentenza ministeriale, oltre ad attaccare pesantemente la Contrada con totale sprezzo per il suo lavoro e la sua storia, mira ad impoverire ulteriormente l’intera regione, sia da un punto di vista culturale che economico.
Ovviamente noi facciamo subito ricorso contro la decisione del Ministero, ma è importante in questo momento il supporto di tutti.
Per questo stiamo raccogliendo le firme di tutte le persone che vogliono sostenerci.
Se volete contribuire, questo è il link per la petizione online:
Grazie per tutto il sostegno e vi saremo grati se farete girare questa mail.
Matteo Oleotto
Co-direttore Artistico
La Contrada-Teatro Stabile di Trieste
Via del Ghirlandaio 12
34138 Trieste
(la foto è di esclusiva proprietà della Contrada, che ne ha concesso l'utilizzo alla sottoscritta solo ed esclusivamente per il presente post) |
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