Quando a dicembre dell'anno scorso, dopo tantissimo tempo, sono risalita all'ex o.p.p., la prima domanda che mi sono posta è stata proprio questa: "Che fine ha fatto Marco Cavallo?". Il riferimento è al cavallo azzurro di cartapesta che, nel 1973, uscì dai cancelli del manicomio di Trieste e, insieme ai suoi creatori, agli operatori sanitari, ai volontari e ai pazienti ricoverati, percorse in lungo e in largo le strade cittadine.
“Perché Marco Cavallo ha la testa mozzata? Chi gli ha mozzato la testa?” Le domande sono sorte spontanee ma le risposte tardano tuttora a venire. La questione non è così semplice come potrebbe sembrare oppure è molto più scontata di quello che si potrebbe immaginare. Fate voi. Una cosa è certa: Marco Cavallo non è solo il simbolo della liberazione dei “matti”, è anche e soprattutto il simbolo della “libertà” in generale, è il simbolo di un periodo di cambiamento che ha visto protagonista un pezzo intero di società che, progressivamente e con le debite (non poche) eccezioni, si è col tempo “normalizzata”, mi verrebbe quasi da dire “istituzionalizzata”. E il microcosmo dell'ex manicomio è, da questo punto di vista, paradigmatico.
È vero che i cancelli sono stati aperti, gli “alienati” liberati dalle maglie della camicia di forza manicomiale ed il Parco di San Giovanni è diventato parte integrante della città, con l'insediamento di cooperative sociali, di alcuni dipartimenti universitari e del museo dell'Antartide, e con il nevrotico via vai di automobili a tutte le ore del giorno. Allo stesso tempo, però, la scritta “La libertà è terapeutica” è stata cancellata mentre "la verità è rivoluzionaria" sente su di sé lo scorrere inesorabile del tempo, come l'edificio su cui è impressa e come altre palazzine presenti nel Parco, in evidente stato di degrado.
Il contrasto evidente tra gli edifici in rovina e quelli ristrutturati recentemente che convivono nell'ex o.p.p. evoca, senza ombra di dubbio, la netta cesura tra le aberrazioni del passato, il manicomio, e la supposta normalità del presente, universo eclettico multiforme fatto di residenze psichiatriche, uffici del DSM, università, cooperative, etc... Allo stesso tempo, però, non fa altro che amplificare la sensazione di un grande vuoto temporale, di un grande assente: quello degli anni '80, dove a San Giovanni l'alabarda triestina del "no se pol" (non si può) poteva solo suscitare ironia.
E proprio per colmare questo vuoto, almeno in parte, parlo con Guillermo, uno degli ideatori e dei conduttori di Escuchame, programma che va in onda ogni venerdì pomeriggio sulle frequenze di Radio Fragola e di cui ho parlato nel post precedente (Escuchame).
Guillermo, nato e vissuto a Rosario in Argentina (città natale di Ernesto Che Guevara) arrivò a Trieste nell'89 come tanti altri volontari che, anche prima di lui, venivano da tutto il mondo in questa città di provincia e di confine perché attirati dalla grande trasformazione in atto all'ospedale psichiatrico.
L'interesse di Guillermo per la follia è nato grazie a un cartone animato poco conosciuto in Europa, "Three Stooges" e si è sviluppato, successivamente, con la lettura di Freud e Jung, nonché con l'avvicinamento all'arte dadaista e surrealista.
Dal '79 all'83, durante gli anni di una delle dittature più brutali della seconda metà del '900, Guillermo fece parte di "Cucaño", un gruppo di giovanissimi artisti che si esibivano in performance sperimentali di musica, teatro, mimo, dal netto carattere sovversivo, come quella messa in atto, a sorpresa, durante la messa in una delle chiese più reazionarie di Rosario nel 1982. In quell'occasione, fingendosi infermi, fanatici religiosi o mendicanti, i ragazzi misero in scena una sequenza di eventi che generarono il caos totale, con lo scopo di portare la situazione all'estremo, alla rottura completa. Guillermo e un amico furono portati in commissariato di polizia, interrogati e lasciati andare non prima però che intervenisse il papà di una ragazza del gruppo, ex commissario di polizia.
Espulso da scuola per aver svolto un tema dal titolo "Cosa significa essere un giovane argentino" in modo non proprio ortodosso e contrario alle aspettative del regime, Guillermo continuò a occuparsi di arti visive, pittura, teatro, disegno fino ad approdare a Trieste.
"Perché proprio Trieste?" gli chiedo. "Perché per noi Trieste era un mito". Trieste un mito? Quella città che Franco Basaglia nel '77 definiva "una città fatta di pensionati in cui la gioventù scappa...", quella città era diventata nel frattempo, grazie proprio a Basaglia, un mito per molti giovani in tutto il mondo che in massa arrivavano per partecipare a una rivoluzione che nasceva nella psichiatria, ma la cui portata andava ben al di là, in un'epoca dove altri movimenti interagivano nella prospettiva di un forte cambiamento della società intera.
Una settantina erano i volontari ospitati al padiglione M dell'ex o.p.p. alla fine degli anni '80. Guillermo, oltre a seguire Ferdinando, l'esperto matematico di "Escuchame", si occupava del laboratorio d'arte e serigrafia che, fra le varie cose, ha realizzato la maglietta che riporta la frase "da vicino nessuno è normale".
Negli anni '80 c'era spazio per tutti a San Giovanni, per tutti quelli che avevano voglia di fare, questo è quello che traspare dalle parole di Guillermo.
Radio Fragola stessa, emittente radiofonica comunitaria, nasce nel 1984 in uno spazio messo a disposizione dal Dipartimento di Salute Mentale. Ora la Radio, dopo alterne vicende, vive un momento di grossa crisi e le sue trasmissioni continuano ad andare in onda solo grazie alla passione di una quarantina di volontari coordinati da Lucia e da Edi.
Altre realtà, come quella della cooperativa Lister (vedasi il post Lister (prima parte)), nascono come evoluzione di laboratori di sartoria e di maglieria nati sempre nello stesso periodo. E lo stesso credo si possa dire di tutte le altre cooperative - che però non conosco - presenti all'ex o.p.p.
Per finire, l'Accademia della Follia, gruppo teatrale di fama internazionale, nasce nel 1992 come evoluzione del laboratorio teatrale ideato e diretto dal 1976 da Claudio Misculin che continua, nonostante le difficoltà in cui versa in questo momento un po' tutto il mondo della cultura, a portare avanti il suo progetto artistico insieme con il resto della compagnia: Charlie, Donatella, Dario, Pino, Beppe, Ana, David, Tadeu, Cinzia (vedasi a tal proposito il post Obelix & Asterix – Presentazione generale)
Tutto questo però non colma il vuoto che ho percepito e percepisco percorrendo in lungo e in largo le strade e stradine dell'ex manicomio. C'è qualcosa che mi sfugge. Forse dovrei parlarne con Marco Cavallo, lui sì saprebbe darmi le risposte che cerco. Ma si è fatto tardi oggi, Marco è stanco, e allora lo lascio andare a casa, in buona compagnia.
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