I felt in love with Sarajevo two years ago, when I went there for the first time in my life. I really like it because from the very beginning I felt at home, thanks to the great sense of hospitality of its people, a feature that many Bosnians have in common, regardless of the "entity" in which they live or other stuff like political or religious convictions, which seem to be actually questions of power, more than other.
There was a war, many people died, many people suffered, but "now the game is over", this is what a lot of Bosnians told me all over the country. Civilians of any "nationality" that survived the war, men who were forced to serve in the army, men and women who decided to serve in the army in order to defend their homes, told me the same: "Idemo napred, ne nazad" (Let's go on and not back).
The question is: "Go where?" Bosnia and Hercegovina is nowadays full of banks of any kind, full of new mosques, full of new orthodox churches, full of shopping centers standing like "cathedrals in a desert", while industry lacks totally and more than 40% of its population is unemployed. Sarajevo is not an exception: while commercial buildings shine like the sun, many private houses and public spaces still bear traces of the war and post-war neglect.
Please excuse my harsh words but believe me, if I didn't care I would never talk about that.
That's all.
p.s. some pics where taken in 2013, some others last week. The situation didn't change a lot, with the exception of the Wojtyla Statue (a new entry - 2014) and that of the City Hall, which is now open; but first of all with the exception of Čika Mišo, who unfortunately died last year.
Sarajevo 1984-2015
Mi sono innamorata di Sarajevo due anni fa, quando ci sono andata per la prima volta nella mia vita. Amo questa città perché, fin dal primo giorno, mi sono sentita a casa, grazie al grande senso di ospitalità delle persone, una caratteristica che molti bosniaci hanno in comune, a prescindere dall'"entità in cui vivono o di altre cose, come le convinzioni politiche o religiose, che sembrano essere di fatto più una questione di potere che altro.
C'è stata una guerra, molte persone sono morte, molte persone hanno sofferto, ma ora "il gioco è finito", questo è quanto molti bosniaci mi hanno detto dappertutto nel paese. Civili di ogni "nazionalità" che sono sopravvissuti alla guerra, uomini costretti a entrare nell'esercito, uomini e donne che volontariamente sono entrati nell'esercito per difendere le loro case, mi hanno detto la stessa cosa: "Idemo napred, ne nazad" (andiamo avanti, non indietro).
La questione è: "Andare dove?" La Bosnia Erzegovina è oggi ricoperta di banche di ogni genere, di nuove moschee, di nuove chiese ortodosse, di centri commerciali che assomigliano a cattedrali nel deserto, mentre l'industria manca del tutto e più del 40% della popolazione è disoccupata. Sarajevo non è un'eccezione: mentre gli edifici commerciali splendono come il sole, molte abitazioni private e spazi pubblici portano ancora i segni della guerra e dell'incuria post-bellica.
Mi scuso per queste parole dure ma credetemi, se non me ne fregasse niente non ne parlarsi proprio.
p.s. alcune immagini sono state scattate nel 2013, altre la settimana scorsa. La situazione non è cambiata molto, con l'eccezione della statua di Wojtyla (una novità del 2014) e della biblioteca, che ora è aperta; ma soprattutto con l'eccezione di Čika Mišo, che sfortunatamente è morto l'anno scorso.
Zetra, the Olympic stadium (2015)
Mountain Trebević (2015)
The olympic bob sled (2015)
Once there was a cable-car (2015)
Looking through the holes (2015)
War archeology (2015)
The old Jewish cemetery (2015)
I was Eighteen (2013)
Resting on the hill (2015)
The Alipašina džamija (2015)
From Vatican to Sarajevo (2015)
Tito is ours (2013)
Rest in peace, Čika Mišo (2013)
Me and my hands (2013)
Playing violin in Baščaršija (2013)
Reflexes of Baščaršija (2013)
Traditional trading (2013)
Modern trading (2015)
Without museum, without culture, without morale (2015)
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