Creare un museo che, rappresentando la guerra, costituisse un monito per la pace: questa era, in poche parole, l'idea dello studioso e collezionista triestino Diego de Henriquez (20 febbraio 1909 – 2 maggio 1974) che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, iniziò a raccogliere armi, veicoli ed attrezzature militari di ogni genere (divise, cucine da campo, maschere antigas, etc…).
E, senza dubbio, il Museo della guerra e per la pace che porta il suo nome (Trieste, via Cumano 22), inaugurato il 28 luglio 2014 (in occasione del centenario della dichiarazione di guerra dell'Austria-Ungheria alla Serbia) non può lasciare indifferente chi, guardando dentro le bocche dei cannoni e facendosi catturare dalle foto e dai manifesti propagandistici dell'epoca si porta a casa non poca amarezza e si domanda come sia possibile che la Prima guerra mondiale, a distanza di cent'anni, sia stata trasformata in oggetto di culto attraverso celebrazioni di vario genere (cosa c'è da celebrare?). Si domanda inoltre con che faccia tosta i governi di vari paesi, prendendo platealmente spunto da 1984 di George Orwell (le cui finalità erano però ben diverse) cercano di mascherare i massacri scatenati in Afghanistan, in Iraq, in Libia (solo per citare le guerre più recenti e note) sotto l'espressione quanto mai repellente di "missioni di pace".
Di seguito le mie impressioni sulla guerra e su altri demoni, ricavate nel corso della visita al museo.
In calce, invece, alcune informazioni aggiuntive sull'attività di Diego de Henriquez e alcuni link di approfondimento sullo studioso.
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Il carro funebre con la salma di Francesco Ferdinando, Trieste, 1914. |
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Manifesto propagandistico italiano durante la Prima guerra mondiale |
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Soldati su un treno militare dove campeggia la scritta "W il duce" |
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L'incendio del Narodni dom ad opera degli squadristi fascisti, nel 1920 |
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Manifesto propagandistico nazista |
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Dentro la bocca di un cannone |
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Soldato ucciso durante la Prima guerra mondiale |
Diego de Henriquez, nel corso della sua vita, oltre che raccogliere e custodire materiale bellico, appuntò su oltre trecento quadernetti note personali e testimonianze di altri fra cui meritano attenzione particolare le scritte lasciate dai prigionieri sui muri delle celle della Risiera di San Sabba, che lo studioso copiò sui suoi "Diari" prima che qualche, oserei dire, idiota pluridecorato del GMA (sempre che il motore fosse l'idiozia e non finalità diverse) decidesse di far ritinteggiare le celle stesse, cancellando così le scritte.
De Henriquez morì in circostanze misteriose il 2 maggio 1974 a causa di un incendio in uno dei depositi in cui dormiva e in cui si trovava una parte del suo archivio e della sua collezione. Tre le inchieste per la sua morte avviate dalle Procure ma tutte e tre archiviate. Varie sono le ipotesi che circolano in merito alla sua morte. Suggerisco, a chi volesse saperne di più, di non andare su wikipedia, per sbrigarsela velocemente, ma di leggere l'articolo
“Veit Heinichen e Diego de Henriquez” pubblicato su “La nuova alabarda” nel luglio 2005.
Inoltre, per chi volesse farsi un'idea del contenuto dei diari, suggerisco la lettura dell'articolo
“I diari di Diego de Henriquez” sfogliati da Vincenzo Cerceo, pubblicato sul sito "Dieci febbraio" il 28 giugno 2013.
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