martedì 19 novembre 2013

A proposito di "Zoran, il mio nipote scemo"

Domenica 15 novembre 2013 al cinema Giotto di Trieste è stato presentato il film "Zoran, il mio nipote scemo", una co-produzione italo-slovena. Presenti in sala il regista, Matteo Oleotto e due degli interpreti: Giuseppe Battiston e la giovanissima Doina Komissarov.

Giuseppe Battiston Matteo Oleotto
Matteo Oleotto
Giuseppe Battiston
Giuseppe Battiston Matteo Oleotto

Protagonista del film è Paolo Bressan (interpretato da Giuseppe Battiston), un quarantenne del Goriziano, cinico, bugiardo e dedito all'alcool che, alla morte della zia slovena Anja Kovač "riceve in eredità" il nipote della stessa, Zoran Špacapan (interpretato da Rok Prašnikar), un ragazzo molto naif, ma estremamente abile nel gioco delle freccette, destinato inizialmente a passare i suoi giorni in una casa famiglia in Slovenia, in compagnia del suo cane di porcellana, Helmut.
La trama del film è nota e si può trovare ovunque su Internet e sulla carta stampata. Lo stesso per quanto riguarda il cast e i personaggi, quindi non mi voglio soffermare troppo su questi punti. Ciò che mi preme invece è mettere in risalto una serie di elementi del film che, a mio parere, lo fanno emergere brillantemente “dal mucchio” delle innumerevoli produzioni cinematografiche in circolazione.
Ambientato interamente nel Goriziano, il lungometraggio di Oleotto riesce a descrivere con dovizia di particolari, con ironia e con molta eleganza nello stile l'atmosfera che si respira in una zona depressa di provincia, forse più “al confino” che “al confine”, come di fatto il Goriziano è. Qui le due lingue e culture protagoniste (quella italiana e quella slovena) si tengono a distanza nei modi che ben conosciamo: l'uso non certo elogiativo del termine “jugo” (diminutivo di Jugoslavija) per indicare la Slovenia, gli sloveni, la lingua slovena; l'impiegata slovena che parla in sloveno ad un italiano; la storpiatura dei nomi da parte italiana (Anja diventa Anna, Zoran diventa Zagor) ma anche da parte slovena (Bressan diventa Brešan).
Ma questa è solo una faccia della medaglia, quella più superficiale. In realtà nel film, equilibrato specchio della vita di tutti i giorni, le due culture si mescolano, come nel caso della ex moglie di Paolo (interpretata da Marjuta Slamič) che di nome fa Stefania ma di cognome Marinčič e di Paolo stesso che, oltre ad aver sposato una donna slovena, ha in Slovenia una zia, Anja, che gli portava i wafer quando era piccolo.
A simboleggiare questa mescolanza culturale interviene anche il coro di Doberdò del Lago che canta in dialetto goriziano, in friulano ed, infine, anche in sloveno, quando Zoran interpreta una canzone dal titolo “Oče naš” (Padre nostro) dedicandola alla nonna morta.
Inequivocabile poi, in questo contesto, il messaggio che il film vuole trasmettere nel momento in cui Paolo si reca in Slovenia a casa della zia morta e lo fa, non attraversando uno degli ex valichi confinari della zona, bensì percorrendo in barca l'Isonzo (Soča), il fiume che unisce le genti che vivono su entrambe le sue sponde.
Un film politically correct? No, nella maniera più assoluta. Il senso di disagio e anche di repulsione che suscitano i frequentatori abituali di osterie traspare in tutta la sua crudezza nel protagonista, Paolo, che riversa tutta la sua insoddisfazione personale nel vino, nelle menzogne, nel disprezzo per chi gli sta intorno, come Ernesto (interpretato da Riccardo Maranzana), il collega balbuziente e credente, cui riesce a dire: “Se sei mona e credi in Dio crederai nel Dio dei mona” (che tradotto in italiano significa “se sei un cretino e credi in Dio crederai nel Dio dei cretini).
Antagonista al personaggio di Paolo è ovviamente Zoran, il nipote “scemo” che ricorda molto da vicino “L'idiota” di Fedor Dostoevskij ma con le debite varianti locali, dove all'origine slovena e contadina della famiglia fa da contraltare l'uso, da parte del ragazzo, di un italiano aulico appreso leggendo due romanzi “capolavori” del tutto sconosciuti ("Lacrime di fanciulla" di Enrico Kosulich e "Lampi sull'Isonzo" di Giulio Previati).
L'umanità del ragazzo, la sua semplicità, la sua apertura nei confronti del mondo e la benevolenza che riceve dagli altri sono in totale antitesi con il brutale cinismo di Paolo che tiene con sé il nipote solo per sfruttarne l'abilità nel gioco delle freccette e farsi i soldi e che, in un crescendo di momenti drammatici, riesce a farsi malvolere da tutti quelli che gli stanno intorno. Questo fino alla crisi finale, l'infarto, che lo colpisce dopo una bevuta oltremisura, reazione compulsiva al rifiuto da parte della ex moglie. Quest'episodio catartico, anche grazie alla presenza di Zoran, permette a Paolo di rimettersi in discussione e di uscire dal circolo vizioso in cui si era ridotta la sua vita di bevitore d'osteria.
E proprio l'osteria, quella di Gustino (interpretato da Teco Celio), è l'ultimo, grande protagonista del film e non solo una semplice ambientazione. Un'osteria dal tipico volto goriziano, con le botti di vino accatastate, le uova sode sul bancone, i tavoli e le sedie dimessi, i clienti abituali che passano il loro tempo a giocare a carte e a ubriacarsi di vino bianco o di Terrano (vino rosso carsico dal sapore asprigno e fruttato). Qui, la scenografia utilizzata è molto più prossima al teatro che al cinema, quasi a voler simboleggiare la centralità del luogo, “il teatro”, appunto, in cui e attorno a cui gravitano i personaggi e le loro vicende. La presenza, in questo contesto, di Ariella Reggio (che interpreta Clara, la mamma dell'oste Gustino), non fa che accentuare questa dimensione.
Per quanto riguarda la fotografia, l'utilizzo prevalente di primi piani, di cui almeno una parte della filmografia abbonda in modo spesso insensato e controproducente, in questo caso non è andato a scapito della pellicola, grazie soprattutto all'espressività degli artisti, Battiston e Prašnikar in modo particolare, e grazie all'ottima sceneggiatura che consente allo spettatore di comprendere l'ambiente circostante senza bisogno di inquadrature più ampie.

Concludo con un caldo invito ad andare a vedere questo lungometraggio, suggerimento rivolto sia a chi vive tra Italia e Slovenia ma anche e soprattutto agli altri, affinché si facciano un'idea del Goriziano e di alcuni suoi tratti distintivi. Aggiungo inoltre un'osservazione che  mi sta a cuore: se c'è un lavoro che riesce davvero a uscire dagli stereotipi e a presentare, seppur ovviamente in forma di fiction cinematografica, quella realtà che spesso viene falsata ad arte dalla politica con la p minuscola e dalle sue conseguenti strumentalizzazioni da "curva sud", questo è proprio "Zoran, il mio nipote scemo", a cui mi sento quindi di augurare tutto il successo che si merita.

mercoledì 13 novembre 2013

Obelix & Asterix al Teatro Goldoni di Venezia

"Obelix e Asterix" è il titolo dell'ultimo lavoro dell'Accademia della Follia, andato in scena in anteprima nazionale, il 10 novembre 2013, al Teatro Goldoni di Venezia.
La compagnia teatrale triestina è riuscita in poco più di tre mesi a dare corpo ad una pièce teatrale esilarante e ironica in cui non mancano momenti drammatici e persino commoventi, il tutto accompagnato da canti, musica, danza e performance acrobatiche.
Punti di forza dello spettacolo sono indubbiamente il corpo vocale, cioè l'uso della voce e del corpo in tutte le sue manifestazioni, caratteristica di tutti gli interpreti, nonché la versatilità degli attori, soprattutto dei principali protagonisti, che riescono a ricoprire ruoli diversi anche grazie a un ben congegnato cambio di costumi.
Scritta e diretta da Claudio Misculin, la commedia si compone di due tempi, in cui la contrapposizione tra un gruppo di "irriducibili" galli e i romani guidati da Giulio Cesare si fa emblema delle contraddizioni profonde del mondo moderno, caratterizzato da una propensione al denaro, al benessere, alla carriera, al progresso a tutti i costi, all'irresponsabilità e mediocrità premianti, che è riuscita a scuotere profondamente la società nelle sue fondamenta. Si è persa con ciò, come puntualizza il regista, la centralità dell'individuo, fulcro di quella rivoluzione che Franco Basaglia aveva avviato all'interno dei manicomi e che, però, aggiungo, lì è rimasta ahimé confinata.
In particolare i personaggi dello spettacolo possono essere suddivisi in due gruppi fra loro antagonisti: i romani, cioè i conquistatori, e i galli che alla conquista romana cercano in tutti i modi di resistere. Un terzo gruppo è costituito dagli schiavi che, stanchi di essere sfruttati dai romani, accettano di buon grado la pozione magica offerta loro da Asterix e Obelix per ribellarsi. Questo all'apparenza. Infatti, la dialettica fra i tre gruppi è destinata a trasformarsi nel corso degli eventi, a causa del progresso, che i romani vogliono esportare a tutti i costi nel villaggio gallico, e a cui qualcuno non sa resistere. Tale progresso, nella fattispecie, è rappresentato dal "Regno degli Dei" un complesso residenziale-turistico che, su ordine di Cesare, l'architetto Angolacutus fa costruire nella foresta armoricana, proprio accanto al villaggio di Asterix e Obelix.
Guidati da Giulio Cesare, i romani sono l'emblema delle distorsioni della società globalizzata e individualistica. La volontà di conquista, l'arrivismo, la mediocrità dei potenti, la strafottenza mista a vigliaccheria dei quadri, la stupidità generalizzata, la pubblicità-spettacolo, il divertimento idiota, il guadagno facile, il turismo di massa la fanno da padroni e vengono rappresentati da personaggi diversi: Giulio Cesare, l'architetto Angolacutus, il centurione Plusquamursus, i legionari, il giullare dell'arena di "VeRoma", la coppia che, al circo massimo, vince alla lotteria, i romani che vanno in villeggiatura nel Regno degli Dei e, successivamente, fanno visita al villaggio indigeno.
I galli, sotto la guida di Abracourcix, rappresentano la parte sana della società, quella che ancora crede nel concetto di comunità e che si ribella con intelligenza e arguzia alla visione del mondo che i romani cercano di imporre con la forza. Le cose, però, non sono così semplici, primo perché i loro possibili alleati, gli schiavi, cedono al compromesso coi romani; secondo perché il benessere e il progresso funzionano egregiamente come specchio per le allodole anche nel loro caso, creando dissapori e rivalità. Il trionfo, alla fine, del buonsenso può essere visto in vari modi: io lo vedo come un'auspicio, per quei pochi che resistono all'andazzo generale, a non cedere e a continuare nella loro lotta contro i non valori di una non società destinata a venir distrutta come fu quella romana, per ragioni molto simili.
Gli schiavi, capeggiati da Numida, sono un po' il simbolo dei lavoratori fin dai tempi dei tempi. Sfruttati nel peggiore dei modi, non fanno nessun tentativo di affrancarsi da soli, nemmeno quando acquistano forza grazie alla bevanda magica donata loro dai galli che riesce solo a dare l'avvio a un timido tentativo di ribellione. Preferiscono, infatti, scendere a patti con i romani barattando la propria liberazione con il completamento dei lavori: l'abbattimento della foresta e la costruzione del primo edificio del Regno degli Dei. Troppo tardi si accorgeranno che le briciole concesse dai romani saranno insufficienti a garantire loro la mera sopravvivenza. E l'amore rappresenta solo una piccola parentesi nella miseria più totale.


Personaggi principali ed interpreti sono:
Asterix, interpretato da Giuseppe Feminiano
Obelix, interpretato da Dario Kuzma
Giulio Cesare, interpretato da Giuseppe Denti
Numida, il capo degli schiavi, interpretato da Donatella di Gillo
Claudius Ilulio Mattissimus, il narratore, interpretato da Claudio Misculin
Angolacutus, l'architetto romano, interpretato da Gabriele Palmano
Abracourcix, il capo dei Galli, interpretato da Ana Dal Bello
Panoramix, il druido, interpretato da David Felipe Murcia Gonzalez
Plusquamursus, il centurione, interpretato da Claudio Misculin.



Accademia della Follia Festival dei Matti
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